TECNOVA HT è una splendida cinquantenne.

Nel 1974 nasceva a Milano, in un umile seminterrato, da una felice intuizione dei fratelli Cavalli, la prima Tecnova che inizialmente forniva solamente misure di portata per il Navale e l’ Oil & Gas

Ma già da allora la visione imprenditoriale era ben delineata: Innovazione Tecnologica per ogni processo produttivo attraverso Soluzioni Elettrostrumentali mai banali e coniugate con un Servizio al Cliente sempre e comunque proattivo, costante e soprattutto di Qualità.

DPU Pressostato Differenziale originale Barton Instruments

E tanta fatica, tanto pane duro, tanto nero sotto le unghie…ma nessuno si è mai tirato indietro perché si era consapevoli di partecipare a qualcosa di grande: è la stessa Motivazione Interiore di allora che oggi fa prendere all’azienda un aereo per portare personalmente anche un solo pezzo di ricambio necessario al Cliente, pur di aiutarlo a vincere le sue sfide professionali.

Pochi si ricordano quando nei pionieristici anni ’80 le Persone di Tecnova andavano dai Clienti con un valigione, spiegando che si poteva misurare la portata di un liquido esternamente al tubo: non ci credeva nessuno, erano infatti le prime innovative applicazioni sviluppate con la tecnologia ultrasonica clamp-on di Fuji Electric Co., Ltd.

Ancor meno persone sanno che Tecnova ha realizzato ben 40 anni fa il primo impianto produttivo completamente strumentato e interconnesso in fibra ottica quando la pneumatica la faceva ancora da padrona in campo.

Ma anche allora per queste applicazioni ai quei tempi fantascientifiche Tecnova aveva dalla sua parte un asso nella manica: la fiducia del cliente.

Perché è proprio la fiducia reciproca il motore primo che regge il complesso sistema relazionale alla base del modello di business proprio di Tecnova.

Ad esempio, i Principals dell’azienda, come VAF Instruments : ben 50 anni di matrimonio, fatto di tanto amore e di qualche piccolo litigio, che, dai primi PD meters installati negli anni ’70 è arrivato fino al record odierno di installazioni della più moderna tecnologia Shaft Power Limitation per l’Efficienza Navale esistente sul mercato.

E’ sempre la Fiducia che fa del Service Team di Tecnova un ospite benvoluto da parte degli operatori sul campo di lavoro: oltre alle dotazioni tecniche sempre di prim’ordine il suo Valore riconosciuto è la competenza che è raggiunta e sviluppata tramite un programma di Formazione continuo, come da ISO 9001, comprendente sia aspetti tecnici come procedure di manutenzione sia aspetti normativi relativi ad esempio ai sistemi CEMS per le emissioni a camino.

“Bro, adoro i lavori ben fatti…”

Perché crediamo così tanto nella Formazione? Perché sono proprio le donne e gli uomini che si impegnano ogni giorno in TECNOVA HT a rappresentare l’asset societario più importante sul quale abbiamo sempre investito per ben cinque decadi: dovete infatti sapere che ogni vostro singolo ordine o intervento nel vostro impianto è gestito da un Team affiatato che è il risultato di una sapiente miscela fra esperienze pluridecennali ed idee nuove, fresche, non convenzionali

perché le cose nuove si fanno solo con i giovani. Solo i giovani ci si buttano dentro con entusiasmo, e collaborano in armonia senza personalismi e senza gli ostacoli derivanti da una mentalità consuetudinaria – Mario Tchou, il genio di Olivetti [1]

Ora dal 2024 il gruppo di lavoro è focalizzato su nuove e sempre più difficili sfide: auspicando a migliorare l’efficienza produttiva, aumentare la sicurezza e contribuire a una reale sostenibilità dei vostri impianti grazie alla conoscenza, alla creatività e al continuo impegno dello staff di Tecnova.

Controllo up/downstream separazione cromatografica per concentrazione, conducibilità, pH e temperatura

Queste sono le radici aziendali, questo è il suo credo e questa è stata la lunga strada percorsa per arrivare all’importante traguardo raggiunto ora.

Automazione per Life Science by Camozzi Automation

Miniaturizzazione, fluidodinamica, monitoraggio remoto: Camozzi Automation lavora nel settore del controllo dei fluidi da oltre 10 anni. Produce dispositivi medicali e strumenti per le biotecnologie e mira a diventare leader nell’automazione per le Life Science

Un settore che cresce a doppia cifra. Il Model based design per monitorare prestazioni e componenti. Il focus sulle soluzioni custom. E sul monitoraggio dei macchinari.

Valvole proporzionali di flusso, regolatori di pressione, elettrovalvole con membrana di separazione del fluido ed elettrovalvole miniaturizzate.

È la tecnologia fluidodinamica utilizzata dai più grandi costruttori europei e mondiali per la produzione di dispositivi medicali e strumenti per le biotecnologie quella della divisione Life Science di Camozzi Automation, azienda appartenente al noto omonimo gruppo bresciano.

«Siamo nel mondo del controllo dei fluidi da oltre dieci anni. Abbiamo un team di esperti con una specifica conoscenza del settore che ci permette di progettare e sviluppare componenti e sistemi che i costruttori di dispositivi e strumenti medicali utilizzano per le più diverse soluzioni e applicazioni», afferma Daniele Giorgi, business developer manager del team Life Science di Camozzi.

Dispositivi e sistemi per la cura del paziente, come apparecchiature odontoiatriche, ventilatori e concentratori di ossigeno, macchine per anestesia. E strumenti nell’ambito analitico-diagnostico, per la cromatografia, l’ematologia e l’analisi molecolare. 

Un mercato in grande evoluzione con tassi di crescita costanti a doppia cifra.

Una dinamica che non sorprende poiché il Life Science riguarda la salute della persona, tema sul quale convergono investimenti importanti in tutte le aree del mondo. «Mentre nell’automazione si producono componenti per gestire flussi di aria compressa per automatizzare impianti o macchine industriali, nel life Science parliamo di tutti i fluidi possibili, liquidi e gassosi. In una macchina per infusione, dedicata al dosaggio dei medicinali, si devono per esempio gestire portate che vanno da pochi millilitri, fino a 200 litri al minuto, come nel caso dei respiratori polmonari», afferma Giorgi.

Tra i fattori competitivi dell’offerta Camozzi per il Life Science, l’ingegnerizzazione di nuovi prodotti e la progettazione di manifold personalizzati in cui vengono assemblati in un unico blocco tutti i componenti necessari per realizzare specifiche soluzioni, come nel caso dei ventilatori, un dispositivo medicale che può contenere fino a 20 diverse tipi di valvole.

Nello stabilimento bresciano di Polpenazze, dove è presente una parte della produzione di Camozzi Automation, i componenti vengono assemblati in camera bianca.

La sala ISO 9 è dedicata alle soluzioni per il comparto dentistico e per la produzione di componenti non invasivi, la sala ISO 7 al montaggio di prodotti e blocchi funzionali per tutte le macchine medicali e per strumenti utilizzati in biotecnologia.

Parti di valvole ed elettrovalvole on-off e proporzionali, regolatori ed accessori prima di entrare in camera bianca per l’assemblaggio ed il collaudo sono trattati da una stazione di lavoro che esegue il lavaggio per evitare qualsiasi tipo di contaminazione. «La qualità del processo di produzione è fondamentale. In un qualunque progetto la prima cosa che ci viene chiesta è se il processo è validato e conforme agli standard internazionali, se il componente è stato pulito, lavato e montato in ambienti ad atmosfera controllata», dice Giorgi.

Molte delle soluzioni sviluppate nascono da una vera e propria collaborazione progettuale.

Un esempio riguarda la progettazione di un dispositivo per l’angiografia, soluzione che è nata dalle rilevanze di uno studio di settore.

«L’idea era avere uno strumento che consentisse di insufflare in vena un fluido di contrasto alternativo allo iodio – afferma Daniele Giorgi – sostanza che viene comunemente utilizzata in angiografia ma che presenta dei problemi di potenziale tossicità».

Ecco, quindi, un iniettore predisposto per utilizzare come fluido di contrasto l’anidride carbonica, sostanza presente nel nostro organismo che ha tempi di smaltimento molto più rapidi dello iodio, circa 20 secondi rispetto a settimane o addirittura mesi.

Il prodotto è stato realizzato secondo specifica, con componenti proporzionali in grado di gestire pressione e portata compatibili con l’organismo umano.

Altro progetto innovativo, quello che ha previsto lo sviluppo di un robot per endoscopia, fatto con componenti che regolano in automatico la pressione della sonda che viene inserita nel corpo del paziente con una precisione e sensibilità superiore a quella di un operatore medico.

In sostanza, la proposta di Camozzi Automation è riassumibile in : “miniaturizzazione dei componenti, customizzazione delle soluzioni, flessibilità e capacità produttiva, future evoluzioni della sensoristica”.

Vortex Meter, misuratore di portata a vortici da Tecnova HT

Lo strumento Vortex Meter o Misuratore di portata a vortici presentato da TECNOVA HT è una apparecchiatura idonea a misurare la portata volumetrica di un qualsiasi fluido come gas, vapore e liquido

Grazie a sensori aggiuntivi, integrati o comunque connessi allo strumento, specifici per la misura della Temperatura e/o della Pressione, il vortex meter come misuratore di portata a vortici, restituisce anche la portata massica compensata molto comoda ad esempio per la misura del vapore prodotto o consumato.

Questo tipo di misuratore di portata non avendo parti in movimento non presenta operazioni di manutenzione da calendarizzarsi a parte settaggi e calibrazioni specifiche.

Ne esistono diverse versioni tra le quali abbiamo il modello a tronchetto flangiato, piuttosto che wafer o ancora ad inserzione.

Come funziona un vortex meter?

Questo misuratore di portata si basa sull’applicazione pratica delle Scie di von Karman : un corpo immerso in un fluido in moto genera dei vortici su entrambi i suoi lati che vengono trascinati via dal fluido in movimento dando origine appunto alla cosiddetta “scia di von Karman”, un insieme di vortici dunque che alternativamente si distaccano dal lato destro e dal sinistro come da simulazione 3D seguente

Questo fenomeno, anche senza conscerlo, lo osserviamo in modo inconsapevole quando vediamo la nostra bandiera che garrisce al vento, svolazzando a destra e sinistra, dove il corpo tozzo cilindrico è l’asta della bandiera che con il vento genera dei vortici alternativamente sui lati destro e sinistro della stoffa del tricolore.

Ma può avere anche delle conseguenze disastrose a causa delle estreme vibrazioni indotte ad esempio nelle colonne di strippaggio in raffineria o nei camini, entrambi corpi cilindrici di certa altezza, dove sono d’obbligo dei rompivortici per evitare il potenziale collasso della struttura…

Applicando invece industrialmente questa teoria ogni strumento vortex meter per la misura di portata è quindi dotato di un corpo tozzo metallico detto shedder bar che ostruisce il passaggio del fluido come da foto sottostante: ad una certa velocità cominciano a generarsi e distaccarsi questi vortici alternati fra loro di cui la Frequenza di generazione e distacco risulta essere

F =  St x V / d

dove F frequenza , St numero adimensionale di Strouhal, V velocità del flusso e d larghezza della shedder bar. Il costruttore del misuratore di portata a vortici deve quindi dimensionare accuratamente d al fine di mantenere ragionevolmente costante il Numero di Strouhal (0.2 – 0.3 tipicamente e determinato sperimentalmente) lungo un intervallo di Numeri di Reynolds Re abbastanza ampio, ad esempio da Re 2×10^4 a Re 7×10^6…

ma cosa ci serve il Numero di Reynolds? innanzitutto è definito dalla seguente formula

Re = ρ x V x D / μ

dove ρ densità del fluido, V velocità del flusso , D diametro interno e μ viscosità cinematica. Questo numero adimensionale tra le altre cose ci informa del Regime del Moto, se laminare, se turbolento oppure se in fase transitoria e nel nostro Processo aumenta di valore passando dalla portata minima alla massima all’interno del tubo oggetto di misura. Infatti essendo la Portata direttamente proporzionale alla Velocità Q = V x A ( a parità di sezione di efflusso V e Q vanno a braccetto) e come detto avendo Re direttamente proporzionale a V , all’aumentare di Q aumenta Re ( assumendo ρ , D e μ costanti ).

Avere il Numero di Strouhal costante lungo un range di Numeri di Reynolds significa quindi avere il Numero di Strouhal costante lungo le variazioni di portata misurate dal vortex meter

Pertanto essendo la frequenza di generazione e distacco dipendente solo dalla velocità del fluido perchè nella formula F =  St x V / d sia St che d sono costanti come spiegato sopra conoscere la Frequenza dei vortici significa conoscere la Velocità semplicemente applicando la formula inversa

V = F x d / St

La frequenza di distacco può essere tecnicamente misurata con diversi sensori come ad esempio, tra i più comuni,

  • sensori capacitivi che rilevano le pressioni positive e negative in alternanza fra loro generate dai vortici stessi
  • sensori piezoelettrici che oscillando da una parte all’altra a causa dei vortici generano una differenza di potenziale elettrico
  • sensori ultrasonici che si vedono deviare il treno ultrasonico dai vortici di passaggio con conseguente shift dell’onda sinusoidale a seconda della frequenza dei vortici

Una volta calcolata F si ottiene quindi V ed essendo l’Area di Passaggio un’ area circolare si determina come

A = (D/2)^2 x π

dove D è il diametro interno della tubazione sicuramente definito, si applica poi la classica formula

Q = V x A

dove V è la velocità di flusso ed A è l’area di passaggio per determinare facilmente Q come portata volumetrica “actual” cioè alle condizioni di T e P del processo. 

Il misuratore di portata a vortici può anche misurare la Portata Massica?

Certamente, ma non in modo diretto come un misuratore di portata ad effetto Coriolis o un Thermal Mass Flowmeter, la calcola in modo indiretto utilizzando dei sensori addizionali di Pressione e Temperatura che possono essere integrati direttamente nel vortex meter, definito allora “multivariabile“, oppure separati da esso e generanti un segnale che può essere raccolto direttamente dall’elettronica locale del misuratore di portata o riportati insieme alla portata volumetrica actual calcolata dal vortex ad un flow computer remoto, da campo o da quadro, in grado di calcolare la portata massica puntuale e totalizzata.

Limitazioni tecniche della misura di portata a vortici

Essenzialmente ne abbiamo di 3 tipi ma fondamentali

  1. La presenza di vibrazioni disturba la qualità della misura del vortex meter: come visto la portata viene calcolata tramite dei sensori che in modo accurato misurano i vortici, va da sè che la presenza di forti vibrazioni della tubazione implichi un deterioramento della ripetibilità della misura. In particolare si faccia attenzione al consueto sottodimensionamento del DN del corpo del misuratore, con la diminuizione della sezione di passaggio infatti a pari portata la velocità aumenta e di molto così come le vibrazioni. Si noti che diversi costruttori hanno inserito nelle elettroniche dei filtri per eliminare questo disturbo ma questo accorgimento può portare alla perdità di sensibilità dello strumento alle basse portate. 
  1. Le dimensioni del corpo flangiato sono limitate mediamente da 1/2″ a DN 12″ / 300 mm quindi non sono coperte le tubazioni medio-grandi del processo, questo per 2 motivi diversi. Il primo, squisitamente tecnico, ci ricorda che la frequenza dei vortici è basata sulla dimensione dello strumento: la frequenza dei vortici è inversamente proporzionale alla grandezza del misuratore cioè più è grande il DN dello strumento e meno frequentemente genera i vortici quindi sono generati meno impulsi per unità di volume (ed in più seguono anche una legge cubica) e la misura di portata diventa instabile. Il secondo invece è il costo rispetto ad altre tecnologie, generalmente il misuratore di portata a vortici è competitivo per costo d’investimento e prestazioni fino a DN 6″ / 150 mm.
  1. La necessità di diametri monte valle per la sua installazione infatti questa tecnologia di misura della portata a vortici ha estremo bisogno di un fluido non solo in regime di moto turbolento ma anche con un profilo di velocità senza deformazioni residue dovute alla presenza di curve, valvole o manifold. Si raccomanda di non fermarsi alla lettura superficiale del data sheet dello strumento ma di recuperare il manuale di installazione ed uso per controllare la reale esigenza dei diametri monte valle infatti a volte si trova scritto 10-15 diametri monte e 5 a valle di tubo senza disturbi ma in realtà diverse configurazioni richiedono anche 30 diametri a monte e 10 -15 a valle per garantire l’accuratezza e ripetibilità della misura.

Per ogni esigenza di misura di portata di vapore saturo e surriscaldato, gas, aria compressa, liquidi o acqua potabile il team di TECNOVA HT forte di mezzo secolo di esperienza rimane a disposizione anche per un semplice consiglio: avendo a disposizione tutti i principi di misura di portata industriale e civile può fornire un grande aiuto a scegliere lo strumento più idoneo per applicazione, prestazioni e budget.

http://www.tecnovaht.it/

ESG e innovazione, oltre la compliance

di Laura Gatti – Roberta Gilardi

Le nuove direttive per il reporting non finanziario rappresentano  una occasione per innovare anche per le PMI. La consapevolezza che l’adozione di una roadmap fondata sui criteri ESG possa rappresentare un valore importante per l’impresa è ormai largamente diffusa anche se per lungo tempo l’impegno sociale, ambientale e le buone pratiche di governance di una organizzazione hanno rappresentato una scelta libera e indipendente così come  la loro rappresentazione e relativa comunicazione

I risultati raggiunti venivano rappresentati in base al «punto di vista» di ciascuna Impresa e non potevano essere “misurate” o “paragonate” a quelle di altre aziende o essere oggetto di valutazioni “oggettive”.

Un primo passo in avanti è stato introdotto dalla comunità europea con il regolamento introdotto a partire dal 2014 sulla rendicontazione non finanziaria delle imprese (Non Financial Reporting Directive (NFRD) Direttiva UE 2014/95/EU).

Criteri ESG e valore d’impresa

L’impatto finanziario di una governance fondata su criteri ESG è stato definitivamente ‘sdoganato’ nel 2020 quando il maggior fondo di investimento mondiale BlackRock si è impegnata a mettere la sostenibilità al centro del processo di investimento dichiarando la convinzione che l’integrazione delle informazioni relative alla sostenibilità nel processo di investimento potesse aiutare i loro gestori a meglio controllare il rischio e prendere decisioni di investimento più informate.

Viene quindi assodato che intraprendere un percorso inteso a migliorare l’impatto Ambientale (o SG) significa gestire un progetto di TRANSIZIONE:

  • Si passa da un modello «consuma materia, energia, tempo e competenze a livello di risorse umane» a un modello in cui si «gestisce una relazione responsabile con la materia, con l’energia, con i valori che arrivano dalle persone»

In questo passaggio in cui si aggiungono «nuovi obiettivi» a quelli del «business» vanno considerati dei fattori di «rischio» (transition risk) legati alla trasformazione energetica, digitale, economica etc. dell’Impresa e la capacità di analizzarli e governarli viene interpretata anche come un valore per gli azionisti oltre che per tutti gli altri stakeholder.

Una transizione che riguarda sempre di più anche le PMI.

Ci sono due ragioni molto semplici per cui anche le entità medio piccole non possono ignorare questa transizione e gli obblighi e opportunità che ne derivano.

La prima è insita nella logica ESG e dimostrata da molti casi studio.

L’azienda impegnata deve poter mostrare di mappare e gestire le responsabilità ESG a monte ed a valle dell’intera filiera in cui è inserita. Caso storico l’incidente della Nike di alcuni decenni relativo all’utilizzo di manodopera infantile da parte di subfornitori a monte. Inoltre, la maggior parte delle analisi di impatto ambientale (Carbon Footprint) in senso stretto evidenziano il contributo pesante del cosiddetto ‘Scope 3’ cioè, per esempio, della catena distributiva a valle.

Da questa responsabilità ‘totale’ dei grandi gruppi che fino ad oggi sono stati maggiormente coinvolti dalla NRFD deriva che, nella pratica, tutto l’indotto dovrebbe poter reggere le stesse logiche e per questo sempre più spesso le grandi aziende coinvolgono i loro ecosistemi nelle verifiche ESG per evitare effetti ‘boomerang’ di tipo reputazionale ed economico.

Un secondo elemento che allarga l’applicazione di questi criteri sarà il passaggio alla nuova regolamentazione europea sull’argomento – CSRD- che entro il 2030 coinvolgerà qualsiasi azienda con più di 250 addetti e/o 400 mil. di fatturato e tutte le PMI quotate di qualsiasi dimensione, per un totale di 49.000 aziende rappresentanti il 75% del fatturato EU(1). Le regole si faranno più stringenti e, soprattutto, la struttura ed i KPI richiesti

Le nuove normative come attivatore di innovazione e vantaggio competitivo.

Sia che l’impresa venga direttamente investita dalla necessità di ottemperare alla nuova regolamentazione oppure che debba ripensare i suoi processi su richiesta di committenti o investitori (ormai molti fondi intraprendono ‘diligence’ ESG, oltre a quelle finanziarie) questo sforzo può essere orientato alla creazione di valore diretto per il business attraverso attività di supporto alla innovazione con metodologie mutuate dalla incubazione delle start-up.

L’approccio di G-Gravity crea un mindset capace di trasformare il vincolo regolatorio in un volano di innovazione.

G-Gravity supporta ed integra il gruppo interno che si occupa di condurre le operazioni di mappatura degli stakeholder, dei loro valori/priorità e delle materialità collegate tipico del processo ESG classico per produrre idee potenzialmente il grado di ampliare l’offerta, alleggerire i processi o individuare nuovi modelli di business e nuovi target. Lo sforzo significativo necessario a esplorare tutti gli aspetti ESG e definirne i rischi e i piani di gestione viene così orientato anche alla creazione di nuove opportunità a breve termine per l’impresa.

Laura Gatti – Roberta Gilardi

INVERTER, i 50 anni di CONTROL TECNIQUES

Inverter, convertitori di frequenza, azionamenti a velocità variabile

Comunque li si voglia chiamare, non è possibile oggi immaginare un’applicazione di movimentazione, sollevamento, traslazione, comando di organi motòri che possa fare a meno delle prestazioni, della precisione e dell’efficienza offerte dall’accoppiata motore-inverter.

Ma quando nascono gli inverter e, soprattutto, chi ha aperto la strada al loro sviluppo?

Oggi gli inverter rappresentano un componente essenziale dei sistemi di automazione.

Negli ultimi 50 anni i progressi fatti dall’elettronica e, ultimamente, dal digitale hanno radicalmente mutato il volto di una disciplina che, forse come nessun’altra, può essere considerata l’emblema della moderna meccatronica.

Chi ha qualche dimestichezza con il mondo dei controlli automatici sa bene che cosa si celi dietro quello che, apparentemente, può sembrare uno dei tanti dispositivi elettronici (magari un po’ costoso) che oggi è possibile acquistare su molti shop on-line.

Matematica, fisica, elettronica, meccanica, informatica: dietro a un variable speed drive, per dirla all’anglosassone, c’è un universo così specializzato e multidisciplinare che è quasi difficile renderne un’idea corretta.

L’evoluzione che, da cinquant’anni a questa parte, ha accompagnato la storia di uno dei nomi più noti in questo ambito, quello di Control Techniques.

Nata nel 1973, Control Techniques è una delle pochissime aziende multinazionali che ha fatto del controllo dei motori elettrici la propria unica, grande, esclusiva missione tecnologica.

I cinque decenni che hanno caratterizzato la sua storia, partita nelle verdi campagne del Galles, possono essere considerati l’emblema di tutti i grandi e importanti passi in avanti che la tecnologia degli variable speed drive ha fatto registrare fino ad oggi.

Un’evoluzione che è andata di pari passo con gli sviluppi dell’elettronica, della miniaturizzazione, della tecnologia digitale e, non ultimo, della ricerca di base, con la messa a punto di algoritmi e tecniche di controllo sempre più raffinati e performanti.

Quando e come sono nati gli inverter?

Per rispondere a questa domanda è necessario compiere un salto indietro nel tempo di quasi 150 anni, esattamente agli anni ’80 del XIX secolo. Nel 1885 Galileo Ferraris, illustre ingegnere e professore del Politecnico di Torino, finalizza una serie di studi sull’elettromagnetismo, in particolare sugli effetti indotti dalla corrente alternata, giungendo alla scoperta del campo magnetico rotante quale principio base per la realizzazione di motori elettrici (per l’appunto a induzione) ben più efficienti di quelli in corrente continua messi a punto da Edison.  

Il 1888 è l’anno cruciale. Ferraris espone le sue scoperte all’Accademia delle Scienze di Torino ma, quasi contemporaneamente, dall’altra parte del mondo, un altro scienziato, dal piglio completamente diverso, visionario e un po’ guascone, ma dotato di una genialità indiscutibile, mette a punto il progetto di un rivoluzionario motore che sfrutta la corrente alternata: il suo nome è Nikola Tesla.

Di chi sarà la vera paternità del motore CA? Ebbene, dopo lo scontro tra Meucci e Bell, quasi contemporaneo a quello tra Ferraris e Tesla, la storia sembra ripetersi, identica: Italia vs. Stati Uniti.

Anni dopo, tra coloro che scesero in campo per difendere l’italianità dell’invenzione vi fu addirittura Carlo Emilio Gadda, che tutti conoscono come scrittore ma che, per formazione accademica, fu innanzitutto un ingegnere.

Ebbene, secondo Gadda il merito dell’invenzione va dato a Galileo Ferraris, che avrebbe avuto l’intuizione di come sfruttare le forze generate dal campo elettromagnetico guardando ai giochi di luce e ombra generati dalle colonne dei portici di Torino dove stava passeggiando in un giorno di primavera.

Di tutt’altro avviso il racconto fatto dallo stesso Tesla, che disse di avere avuto un lampo di intuizione durante una camminata in un parco di Budapest avvenuta anni prima, intuizione che finalizzerà poi in un progetto a Strasburgo nel 1882 in qualità di tecnico ricercatore della Edison Europe.

Che Tesla fosse un egocentrico, a volte millantatore, è un fatto risaputo. Ciò che non potremo mai sapere, invece, è a chi può essere oggi assegnato il merito di questa favolosa scoperta che rivoluzionerà per sempre il mondo industriale.

Il motore elettrico, un volano di sviluppo

Rispetto al vapore, l’elettricità presentava numerosi vantaggi come fonte di energia.

Non solo era pulita (ricordiamo che in quel periodo fiorirono le centrali idroelettriche), ma era ben più efficiente, facilmente trasportabile e poteva essere inserita e disinserita in un attimo, con un semplice click, a differenza di quanto invece bisognava fare con un motore endotermico o a vapore.

Lo sviluppo dei motori elettrici fin da subito ha notevolmente incrementato le potenzialità dell’automazione industriale, alimentando macchine e linee di produzione che via via si sono fatte sempre più efficienti.

Quando Henry Ford nel 1913 iniziò a produrre la Model T nello stabilimento di Highland Park, in Michigan, introducendo il modello della catena di montaggio, i motori elettrici ebbero la prima grande occasione di mostrare le loro potenzialità in ottica di sviluppo e progresso.

Lo stabilimento sfornava vetture al ritmo di una ogni 3 minuti: ciò fece sì che manufatti complessi come le autovetture potessero trasformarsi in beni di massa grazie all’automazione, che consentiva di abbattere drasticamente i costi di produzione.

Tuttavia, nonostante le loro indiscutibili potenzialità, i motori in corrente alternata dovranno attendere ancora qualche decennio prima di affermarsi, principalmente a causa della relativa semplicità con i motori in CC potevano essere regolati in tecnica a velocità variabile.

Gestire efficacemente tutti i parametri elettrici che avrebbero permesso ai motori a induzione di compiere il passo decisivo, a quell’epoca era ancora una sfida decisamente complessa e gli sviluppi tecnici per rendere il controllo di coppia e velocità di questi motori semplice come quello delle unità a corrente continua sarebbero maturati solamente una quarantina di anni dopo.

I favolosi anni ‘50

È nel decennio post bellico del secolo scorso che, grazie allo sviluppo dell’elettronica moderna, all’epoca ancora in fase nascente, vennero realizzate le prime unità di controllo motore a tiristori, dispositivi che di fatto, come vedremo, hanno aperto la strada alla nascita degli azionamenti a velocità variabile. Il principio su cui questi dispositivi si basavano era quello della cosiddetta “trasformazione inversa”: la corrente alternata, trifase o monofase, veniva raddrizzata, quindi nuovamente convertita in alternata, ma con diversi valori dei parametri elettrici, in primis di frequenza, per gestire opportunamente il numero dei giri motore.

Erano nati i primi inverter.

Questa tecnologia mostrava tuttavia dei seri limiti, dovuti principalmente alla lentezza di risposta dell’elettronica a tiristori e alla scarsa flessibilità della tecnica di controllo basata sul rapporto V/f. L’evoluzione dell’elettronica e dei componenti a semiconduttore con dinamiche di commutazione nettamente migliorate portano nei successivi anni ’70 alla nascita di inverter con prestazioni superiori, benchè la tecnica di controllo V/f facesse ancora segnare alcuni limiti in termini di precisione e intervallo di controllo della velocità (confinata in un range piuttosto ristretto, sull’ordine di 1:10), nonché di controllo della coppia, ovvero della capacità di regolare in modo stabile il motore al variare dei carichi applicati all’asse.

La vera svolta nel superare queste limitazioni avviene con l’introduzione della tecnica di controllo vettoriale. Frutto di avanzati algoritmi prevalentemente studiati come ricerca di frontiera in Europa, la regolazione della velocità in tecnica vettoriale avveniva non più agendo sul rapporto tensione frequenza, ma controllando l’orientamento del campo elettromagnetico, così che un motore a induzione poteva essere controllato in maniera del tutto analoga a un motore a corrente continua in fatto di semplicità, rendimento e precisione. Tuttavia, a quell’epoca l’elevata potenza di calcolo necessaria per eseguire in tempo reale le complesse elaborazioni vettoriali non è ancora disponibile. I primi prototipi di inverter a controllo vettoriale nascono quindi come esercizi di fattibilità più fini a loro stessi che non come veri e propri prodotti commerciali.

La rivoluzione della microelettronica

Bisogna attendere gli anni ’80 prima che la tecnica di controllo vettoriale si possa concretizzare in prodotti commercialmente validi.

Dai primi ingombranti azionamenti, si passa allo sviluppo di dispositivi sempre più compatti e potenti, nonché intelligenti e capaci di comunicare non più mediante interfacce di segnale, ma avvalendosi di quelle che ben presto si sarebbero affermate come il nuovo e indispensabile strumento per gestire efficacemente la comunicazione industriale: le reti di campo.

La corsa dei produttori di inverter alla ricerca di prestazioni “tout-court” per i loro dispositivi è finalmente partita. Lo sviluppo ora non guarda più solo alle capacità di controllo, ma agli aspetti legati all’efficienza energetica, alla flessibilità, all’universalità di utilizzo, all’apertura ai vari standard di comunicazione, con un occhio anche alla safety e alla logica programmabile.

Negli anni che seguono, gli inverter si trasformano letteralmente in piccoli ma sempre più potenti dispositivi, completi di tutto quanto serve per fare una vera automazione, capaci non solo di regolare i giri motore e controllare con accuratezza la coppia, ma di gestire logiche, profili di accelerazione/decelerazione, la sicurezza in caso di emergenza, comandare più tipologie di motori e al tempo stesso fornire prestazioni particolari per applicazioni specifiche, addirittura recuperare l’energia ridistribuendola agli altri componenti di sistema in tecnica DC-bus.

I successivi anni ’90, sulla spinta di questo fervore, vedono l’avvento di modelli rivoluzionari, come il mitico Unidrive, il primo inverter dalle reali caratteristiche di universalità, in grado di integrare il controllo di più tipi di motori in un unico prodotto, che segnerà indelebilmente la storia moderna di Control Techniques con oltre un milione di dispositivi installati in tutto il mondo.

Le prestazioni dei microprocessori, delle elettroniche FPGA e dei terminali di potenza in tecnologia IGBT rendono oggi gli inverter dei piccoli grandi mostri, in termini sia di capacità di calcolo, e quindi di controllo, che di densità di potenza.

I moderni azionamenti consentono di liberare tutto il potenziale intrinseco dei motori elettrici per realizzare applicazioni di automazione sempre più performanti e raffinate. E non solo.

Un futuro ancora tutto da scoprire

Le nuove frontiere che il digitale sta aprendo influenzeranno ancora nel prossimo futuro lo sviluppo della tecnologia inverter.

Si pensi ad esempio al ruolo dell’intelligenza artificiale, un asset di per sé intangibile, ma che sta diventando sempre più importante e che porterà l’automazione a un nuovo livello, grazie anche al supporto dell’IoT, che renderà gli inverter dei dispositivi sempre più intelligenti anche nel comunicare con le altre componenti di sistema.

Cos’altro riserverà il futuro della tecnologia agli inverter di prossima generazione? Difficile a dirsi.

Si potrebbe forse azzardare a prevedere che saranno le nuove sfide della mobilità elettrica a incidere sui prossimi sviluppi di questa tecnologia, vista la necessità di rendere sempre più sostenibile il nostro vivere quotidiano e di usare in modo efficiente e intelligente le risorse energetiche di cui disponiamo.

A 250 anni di distanza dai cambiamenti apportati dalla rivoluzione industriale, l’automazione può dire di avere percorso davvero moltissima strada. Gran parte della quale, in epoca moderna, porta l’indelebile impronta che gli inverter hanno impresso grazie alla loro continua, eccezionale evoluzione, nonché pe

Riscaldamento e raffrescamento industriale: impianti a pannelli radianti

L’impianto di riscaldamento radiante, a pavimento, soffitto o parete, sfrutta il fenomeno del trasferimento del calore ad irraggiamento, garantendo un elevato livello di comfort negli ambienti climatizzati. Si tratta di una soluzione efficiente che favorisce il risparmio energetico. Ecco i vantaggi e le differenze tra i diversi impianti radianti

Il riscaldamento e il raffrescamento a pavimento sono una soluzione impiantistica per la distribuzione del caldo e del freddo all’interno di un ambiente. Nelle nuove realizzazioni e in caso di ristrutturazione, spesso sostituiscono i vecchi radiatori, assicurando comfort e risparmio energetico.

Gli impianti di riscaldamento e raffrescamento a pannelli radianti sono tra le tecnologie più efficienti nei sistemi di climatizzazione: funzionano per irraggiamento e quindi distribuiscono calore in maniera omogenea; sono sistemi emissivi a bassa temperatura (a differenza dei termosifoni) e questo permette di abbassare i consumi e di aumentare l’efficienza dell’abitazione e la sua classe energetica; trattandosi di sistemi privi di correnti, non generano polveri, garantendo ambienti più salubri, sono silenziosi e sia il caldo che il fresco si percepiscono velocemente; possono essere integrati con impianti già esistenti (pompe di calore, caldaie, sistemi di ventilazione meccanica controllata) e sono idonei a tutti i generi di edifici.

Impianti radianti a pavimento: cosa sono e come funzionano

Un sistema di riscaldamento a pannelli radianti prevede la presenza di un generatore di calore, un fluido termovettore e, appunto, un terminale di emissione del calore.

I sistemi di riscaldamento radianti hanno, in realtà, origini più antiche di quanto si possa pensare. Il principio che sta alla base degli impianti radianti a parete, soffitto o pavimento, infatti, era lo stesso che i romani usavano per riscaldare le abitazioni, grazie ad un camino che riscaldava dell’aria fatta circolare in apposite intercapedini di muri e pavimenti dell’abitazione. Il sistema si è certamente evoluto e oggi sono disponibili sul mercato tecnologie efficienti e adatte alle esigenze più variegate.

Gli impianti a pannelli radianti possono essere collocati sia a soffitto che a parete, ma la soluzione maggiormente diffusa ad oggi è quella dell’impianto radiante a pavimento.

I sistemi radianti a pavimento sono soluzioni impiantistiche particolarmente indicate quando si vuole contare su un sistema di climatizzazione efficiente. L’impianto si compone di tubazioni di piccole dimensioni, disposte a serpentina sull’intera superficie del solaio, per la circolazione del fluido termovettore, che possono essere integrati nel massetto, nell’intonaco o nel cartongesso di un controsoffittoAl di sotto delle serpentine, poi, si posa un pannello isolante, in modo da evitare che il calore emesso dalle tubazioni sia disperso verso il solaio. Per facilitare l’installazione ci sono anche pannelli prefabbricati completi di tutti gli elementi e già predisposti per ospitare le serpentine. Generalmente l’impianto prevede la posa di pannelli radianti che contengono tubi a serpentina.

Si sono diffuse molte soluzioni con spessori altamente ridotti, in modo da permettere l’installazione anche nei casi di ristrutturazione in cui i locali non sono molto alti.

Il funzionamento del sistema di riscaldamento a pannelli radianti si basa sul fenomeno dell’irraggiamento, che permette lo scambio di calore tra corpi solidi senza dover riscaldare l’aria.

Per funzionare, non è necessario che i pannelli radianti raggiungano temperature particolarmente elevate, ma anzi lavorano a basse temperature, mediamente intorno ai 30/35°.

Nella maggior parte dei casi, questo impianto si combina con una pompa di calore, in quanto si massimizzano i benefici in termini energetici, visto che entrambi lavorano in modo efficiente a bassa temperatura. Nulla vieta, comunque, di installare una caldaia a condensazione.

Infine, è bene sapere che quando si parla di pannelli radianti sarebbe opportuno fare una distinzione tra quelli che si compongono come appena descritto, quindi impianti ad acqua a circuito chiuso, e quelli costituiti da resistenze elettriche.

In questo caso, non è necessario combinare un altro generatore per il riscaldamento dell’acqua, anche se il meccanismo di diffusione del calore è lo stesso, basato sul principio dell’irraggiamento.

Anche il raffrescamento, a pavimento

Tra i vantaggi offerti dai sistemi radianti, che oltretutto assicurano una diffusione uniforme del calore e massimo comfort, c’è anche la possibilità di utilizzare il medesimo impianto sia per il riscaldamento, che per il raffrescamento.

Si tratta di un’alternativa ai classici condizionatori e funziona sempre grazie al principio dell’irraggiamento. In modalità raffrescamento, nelle serpentine scorre liquido refrigerato, in questo caso solo grazie alla pompa di calore installata. Di conseguenza, il corpo caldo che cede calore è proprio l’ambiente da raffrescare.

È importante sapere che per far funzionare il sistema radiante sia in modalità riscaldamento, che raffrescamento, è necessario progettare adeguatamente il sistema fin dal principio, scegliendo materiali adeguati e predisponendo in modo corretto tutti i componenti, inclusi i collettori.

I vantaggi dei sistemi radianti a pavimento

Il risparmio energetico, ormai, è uno dei temi principali quando si parla di nuove costruzioni e di ristrutturazioni. I pannelli radianti a parete, pavimento o soffitto permettono, appunto, di ridurre i consumi energetici necessari a scaldare un ambiente, perché il fluido termovettore (ad esempio l’acqua) che circola al loro interno deve essere portato a soli 30-35°, contro i 70° di un tradizionale radiatore. In sostanza, il lavoro svolto dalla caldaia o dalla pompa di calore è inferiore.

Alcuni dei vantaggi dei sistemi radianti a pavimento sono già stati anticipati, tra cui l’elevata efficienza energetica e la possibilità di gestire con un unico impianto il riscaldamento e il raffrescamento domestico.

Volendo riassumere gli altri, il primo da citare è sicuramente legato alla silenziosità di questi sistemi, che non generano alcun tipo di rumore durante il loro funzionamento.

Inoltre, i pannelli radianti assicurano un comfort interno percepito maggiore grazie al loro meccanismo di funzionamento basato sull’irraggiamento, che è lo stesso fenomeno con cui anche il sole scambia calore alla terra, che fa risultare la sensazione molto naturale e piacevole, evitando le correnti d’aria e i punti freddi comuni nei sistemi di riscaldamento tradizionali. Ancora, lavorando a basse temperature, gli impianti radianti permettono di evitare grandi differenze termiche nell’ambiente e spiacevoli correnti d’aria.

Questi impianti richiedono pochissima manutenzione, hanno una durata notevole nel tempo e possono essere utilizzati in combinazione con fonti di energia rinnovabili, come il solare termico, per ridurre i costi energetici.

Infine, un altro vantaggio che, anche se può sembrare meno importante, non è comunque da sottovalutare.

Scegliere dei pannelli radianti a parete, soffitto o pavimento significa anche eliminare dalla propria casa qualsiasi tipo di dispositivo a vista necessario per riscaldare o raffreddare.

Con il sistema di riscaldamento radiante è possibile dire addio a termosifoni, splitter, ventilconvettori e quanto altro usato per climatizzare gli ambienti, spesso antiestetici.

Tra gli svantaggi, invece, ci sono i costi elevati di installazione, la riduzione dell’altezza dei locali, la necessità di mantenere l’impianto acceso in modo costante e il fatto che, a fronte di un danno a una tubatura, è necessario un intervento invasivo per il ripristino del sistema.

Quanto costa un impianto radiante

La realizzazione di un impianto radiante a pavimento ha costi che variano a seconda della dimensione degli ambienti che si dovranno climatizzare e della tecnologia scelta. La spesa include i costi per l’acquisto dell’impianto, ma anche per la manodopera necessaria alla posa e installazione. Incide sul prezzo, poi, l’acquisto del generatore di calore, nel caso si debba sostituire la caldaia esistente e installare un nuovo impianto. Per dare un riferimento, comunque, è possibile dire che un sistema radiante ha un costo che oscilla dai 60 ai 100 euro al metro quadro circa.

Impianto radiante a pavimento

L’impianto radiante a pavimento è adatto un po’ in tutte le situazioni ed è la soluzione più diffusa. Un’attenta riflessione deve essere fatta nel caso in cui si decida di posare una pavimentazione che abbia un certo potere isolante e che potrebbe ostacolare la diffusione del calore.

L’impianto radiante a pavimento prevede l’installazione di specifici pannelli in cui alloggiano le tubazioni, generalmente in materiale plastico, sotto le quali viene molto spesso posato uno strato isolante, così da ridurre le dispersioni di calore indesiderate.

Uponor Minitec è una soluzione per il riscaldamento e raffrescamento radiante a basso spessore che assicura bassa inerzia ed alta efficienza energetica. Il pannello si può posare direttamente su soletta o pavimentazione esistente grazie allo strato adesivo del pannello bugnato. Lo spessore minimo totale comprensivo di livellina sopra i tubi è di soli 15 mm. Il sistema garantisce ottimo isolamento termico e acustico grazie a specifici pacchetti sviluppati ad hoc: un panello isolante XPS, disponibile in due spessori (10 – 20 mm), assicura l’isolamento termico, mentre quello acustico è fornito da un tappetino per l’abbattimento del rumore da calpestio. E’ disponibile anche un pacchetto comprensivo di pannello isolante XPS e tappetino acustico che unisce le proprietà di bassa inerzia e spessore a quelle di isolamento.

Sopra i pannelli c’è un massetto e infine il pavimento. I costi di installazione sono più elevati rispetto a quelli richiesti per un sistema tradizionale. Inoltre, per agevolare l’installazione di impianti radianti nelle ristrutturazioni, oggi sul mercato sono disponibili impianti a basso spessore. In questi casi è possibile predisporre l’intero sistema, incluso il massetto, in meno di 5 cm.

Riscaldamento radiante a parete

Il riscaldamento a parete a pannelli radianti funziona allo stesso modo di quello a pavimento, ma anziché a pavimento, si utilizza un pannello radiante a parete. Le tubazioni possono essere anche in rame e quindi il riscaldamento avviene più velocemente.

Generalmente si scelgono gli impianti a pannelli radianti a parete, quando la superficie calpestabile del pavimento non è adeguata per generare il calore necessario a riscaldare l’ambiente. Questa tipologia di impianto è, infatti, adatta ad ambienti con particolari vincoli sul pavimento o è spesso utilizzata in ambienti molto grandi come uffici ed open space, dove non sarebbe conveniente né efficace intervenire su tutta la pavimentazione.

Uponor Renovis è un sistema a secco e a bassa temperatura in cartongesso con integrati i circuiti radianti per il riscaldamento e raffrescamento radiante a soffitto/parete. Semplice da installare senza che sia necessario fare lavori di demolizione, permette di effettuare interventi di ristrutturazione continuando a usufruire dell’edificio.

Gli impianti radianti a parete non presentano limiti o difetti rispetto agli impianti di riscaldamento a pavimento, se non il fatto che richiedono una particolare attenzione quando si decide per qualche motivo, di bucare la parete. Un vantaggio in più degli impianti radianti a parete, invece, è che la resa in raffrescamento è molto elevata, paragonabile a quella in riscaldamento.

Riscaldamento a pannelli radianti a soffitto

Il riscaldamento radiante a soffitto viene installato all’interno di un controsoffitto e ha il grande vantaggio di liberare completamente pavimento e pareti. Come gli impianti radianti a parete, anche questa soluzione offre risposte maggiormente reattive rispetto al sistema a pavimento ed è adatto a tutte le tipologie di edificio. Viene spesso scelto anche per edifici come ospedali e capannoni.

pannelli radianti a soffitto possono essere utilizzati anche per il raffrescamento e sono di facile installazione, richiedendo quindi anche costi inferiori per la loro posa. Il sistema può presentare dei limiti quando la struttura dell’edificio presenta determinate caratteristiche, ad esempio un’altezza eccessiva tra pavimento e soffitto.

Tecnologie e detrazioni fiscali per pannelli radianti, intervista all’Ing. Clara Peretti, Segretario Generale Q-RAD

Rispetto a detrazioni e utilizzo dei sistemi a pannelli radianti, abbiamo chiesto qualche chiarimento all’Ing. Clara Peretti, Segretario Generale Q-RAD, Consorzio Italiano senza scopo di lucro Produttori Sistemi Radianti di Qualità, che promuove la cultura del riscaldamento e raffrescamento radiante come strumento per aumentare il comfort e il risparmio energetico.

Quali sono le detrazioni fiscali previste per l’installazione di un impianto di riscaldamento/raffrescamento a pannelli radianti?

Le detrazioni fiscali per i sistemi radianti per il 2023 possono essere richieste per gli interventi di efficienza energetica, per gli interventi di ristrutturazione edilizia oppure per gli interventi sulla sismica. Sono quindi agevolabili al 50% e al 65% in funzione della tipologia di intervento e di immobile che ne fa domanda.

Per quanto riguarda il superbonus, la cui aliquota con la nuova Legge di Bilancio è passata dal 110% al 90% con requisiti più restrittivi per richiederlo (a parte per i condomini che abbiano presentato la CILAS entro il 31 dicembre), i sistemi impiantistici sono inseriti in quanto strettamente collegati all’efficienza energetica. Sono infatti incentivate con Superbonus alcune delle tecnologie che garantiscono risparmio energetico riducendo così i consumi e le emissioni di CO2.

Il tema degli impianti è articolato, in quanto spesso il sistema è composto da molteplici componenti che necessariamente devono essere coordinati. Rappresenta tale complessità il mondo dei sistemi radianti. I sistemi radianti rientrano nel superbonus quando abbinati ad uno degli interventi trainanti di riqualificazione energetica degli edifici individuata dal decreto, come ad esempio l’installazione di una caldaia a condensazione oppure una pompa di calore oppure l’allaccio al teleriscaldamento o abbinati a caldaie a biomassa. I sistemi a pannelli radianti rappresentano la miglior scelta impiantistica perché integrano in un unico terminale riscaldamento e raffrescamento al fine di raggiunger i più elevati risparmi sia energetici che economici.

I sistemi radianti si possono installare con qualsiasi tipo di pavimentazione?

Ceramica, marmo, legno, moquette, pavimenti continui… moltissime sono le tipologie di materiali per le pavimentazioni. Una importante premessa riguarda l’approccio da utilizzare quando si sta valutando quale tipo di pavimentazione utilizzare.

Due sono le possibilità, spesso da integrare:

  • Fare riferimento alle normative del settore (ad esempio per la posa di parquet, rivestimenti ceramici ecc.)
  • Fare riferimento alle indicazioni delle aziende produttrici.

Molto spesso infatti per tipologie particolari di sistemi radianti (come ad esempio i sistemi a basso spessore descritti nella nuova versione della norma UNI EN 1264:2021) oltre alle indicazioni generali riportate nella norma si deve fare riferimento alle indicazioni di progetto e di posa fornite dal produttore di sistemi radianti, dei produttori dello strato di supporto (massetti) e della pavimentazione.

È fondamentale inoltre ricordare che “di norma su un impianto di riscaldamento e raffrescamento radiante è possibile posare qualsiasi tipo di pavimentazione.” È infatti possibile abbinare ad un sistema radiante a pavimento qualsiasi tipo di rivestimento, ma sono necessari alcuni requisiti generali che devono essere rispettati.

Ne è un esempio la resistenza termica: la resistenza termica della pavimentazione (incluso lo stato per la posa, come ad esempio un materassino flottante per il parquet) non deve superare il valore di 0.15 m2K/W (secondo UNI EN 1264 e UNI EN ISO 11855).

Quali sono i vantaggi dei sistemi radianti rispetto a quelli tradizionali?

I vantaggi dei sistemi a pannelli radianti possono essere riassunti in 10 principali punti, ma oltre a questi ve ne sono anche altri, che ogni anno si aggiungono grazie alla rapida risposte delle aziende nel soddisfare la richiesta del mercato.

  • 1) Garantiscono comfort termico, uniformità di temperatura e assenza di correnti d’aria
  • 2) Sono gli unici sistemi di emissione a bassa differenza di temperatura
  • 3) Sono integrabili con pompe di calore e con caldaie efficienti nonché altri generatori che utilizzano fonti rinnovabili
  • 4) Si abbinano con i sistemi di VMC garantendo un’elevata qualità dell’aria indoor
  • 5) Sono adattabili a tutti i generi di edificio: dalla chiesa al museo
  • 6) Aumentano il valore dell’immobile
  • 7) Migliorano la classe energetica
  • 8) Riducono i consumi anche senza riqualificare l’involucro
  • 9) Con un unico impianto si può riscaldare e raffrescare
  • 10) Eliminano per sempre problemi di muffa e di condensa

Gli impianti di raffrescamento e riscaldamento radiante si adattano a diverse tipologie di edifici e si sono affermati come un vero e proprio camaleonte tecnologico. Possono essere utilizzati negli edifici residenziali così come nelle palazzine uffici fino a impianti sportivi come palestre o piscine, edifici per il culto, costruzioni di valore storico-artistico e siti produttivi.

Un’adattabilità a tutte le costruzioni che conferma l’affidabilità degli impianti di raffrescamento e riscaldamento radiante sia per gli edifici nuovi che per le riqualificazioni del patrimonio esistente.

I sistemi radianti sono poi in grado di integrare la temperatura in base a quella dell’ambiente da climatizzare offendo un’elevata qualità degli ambienti indoor unita a una notevole efficienza energetica.

Quanto consuma un impianto radiante?

Il tema dei consumi energetici è oggi ancora più attuale alla luce degli incrementi dei costi di gas e di elettricità. Il consumo di un sistema radiante è strettamente correlato a tutti i componenti ad esso correlati, sia di impianto che di involucro.

Al fine di valutare il consumo è possibile utilizzare la metodologia proposta nella norma UNI/TR 11619:2016 descrive il calcolo dell’indice di efficienza definito RSEE (Radiant System Energy Efficiency), che rappresenta un indicatore complessivo che coinvolge la stratigrafia, i componenti del sistema radiante, le logiche di regolazione e gli ausiliari.

Attraverso un semplice calcolo è possibile confrontare diverse tipologie di sistemi radianti, a pavimento, parete e soffitto.

Tuttavia risulta molto più interessante valutare sistemi di emissione differenti, confrontando ad esempio i sistemi radianti con i radiatori, con i ventilconvettori oppure ancora con i sistemi ad aria.

Fonte/contributo: www.infobuildenergia.it

B&R, produzione multidimensionale con ACOPOS 6D

Con ACOPOS 6D, B&R inaugura una nuova era per la produzione multidimensionale. Le navette a levitazione magnetica spostano liberamente i singoli prodotti attraverso la macchina

Sono finiti i giorni in cui i sistemi di movimentazione convenzionali imponevano tempistiche rigidamente ancorate a un processo di produzione multidimensionale sequenziale. ACOPOS 6D è ideale per la produzione di piccoli lotti con frequenti cambi di design e dimensioni da un prodotto all’altro.

ACOPOS 6D si basa sul principio della levitazione magnetica per la produzione multidimensionale.

Le navette integrano magneti permanenti che li mantengono sospesi sopra la superficie continua creata da segmenti di motore elettromagnetico.

I segmenti modulari del motore misurano 240 x 240 millimetri e possono essere disposti liberamente, a creare qualsiasi forma dello spazio di movimento.

Con una gamma di navette di varie dimensioni è possibile trasportare carichi utili da 0,6 a 14 chilogrammi e raggiungere velocità fino a 2 metri al secondo.

Le navette possono muoversi liberamente nello spazio bidimensionale, oltre a ruotare e inclinarsi lungo tre assi e a levitare con un preciso controllo della quota. Combinati, questi movimenti consentono un controllo a sei gradi di libertà.

Riduci l’ingombro della tua macchina

I sistemi di trasporto convenzionali occupano molto spazio all’interno dello stabilimento solo per spostare i prodotti da A a B – senza dare alcun contributo reale ai processi di produzione multimensionale a valore aggiunto.

Con l’introduzione della tecnologia a levitazione magnetica, il modello tradizionale di trasporto lineare dei prodotti si sta dissolvendo per rivelare uno spazio di lavorazione e di produzione multidimensionale. Uno spazio in cui i confini tra trasporto e lavorazione scompaiono.

Oltre a trasportare i prodotti, il sistema di trasporto esegue anche compiti di lavorazione multiasse – aggiungendo una flessibilità essenziale in una frazione dello spazio.

ACOPOS 6D permette di controllare simultaneamente fino a quattro navette per ogni segmento di motore da 240 x 240 mm – per una densità di lavorazione massima di quasi 70 prodotti per metro quadro.

La pianificazione del percorso viene calcolata individualmente per ogni navetta, permettendo un controllo completamente indipendente. Questa combinazione di alta densità di navette e flessibilità illimitata del percorso rende le macchine e le linee sostanzialmente più piccole ed esponenzialmente più produttive.

Spazio ridotto

ACOPOS 6D offre una densità di navette fino a quattro volte superiore a quella degli altri sistemi presenti sul mercato grazie alla capacità unica di controllare quattro navette sullo stesso segmento di motori contemporaneamente.

Le navette possono essere utilizzate anche come assi nelle stazioni di lavorazione. Una navetta che trasporta un pezzo può, ad esempio, seguire un percorso CNC permettendo il montaggio rigido dell’utensile di lavorazione. Le stazioni di pesatura possono essere eliminate completamente, poiché ogni navetta può anche servire come pesa ad alta precisione. Ciò rende possibile la progettazione di una macchina più compatta.

Zero usura

Le navette ACOPOS 6D fluttuano liberamente senza alcun contatto meccanico né attrito.

In assenza di usura non ci sono parti da manutenere. Una semplice copertura in acciaio inossidabile sopra i segmenti del motore offre all’ACOPOS 6D una protezione IP69K – il che lo rende ideale per l’uso in camere bianche o per la produzione di alimenti e bevande.

Completamente integrato

ACOPOS 6D è completamente integrato nell’ecosistema B&R. Ciò consente di sincronizzare, con precisione al microsecondo, le navette con servo assi, robot, sistemi track e sistemi di visione. La pianificazione del percorso delle navette avviene in un controllore dedicato, collegato alla rete della macchina tramite POWERLINK – eliminando ogni possibile impatto sulle prestazioni della rete o del sistema di controllo della macchina. Per sistemi con oltre 200 segmenti o 50 navette, è possibile sincronizzare più controllori tra loro.

Navette intelligenti

A differenza di sistemi simili, a ogni navetta ACOPOS 6D viene assegnato un ID univoco a livello globale. All’avvio, il controllore localizza immediatamente ogni navetta sui segmenti del motore, e la produzione può iniziare senza lunghe sequenze di homing o input manuale da parte di un operatore. Le navette offrono una ripetibilità di posizionamento di ±5 µm, rendendo ACOPOS 6D perfettamente adatto per applicazioni con requisiti di posizionamento stringenti, come quelle nell’industria elettronica e nell’assemblaggio di componenti meccanici ed elettronici.

Enormi possibilità, facilmente

ACOPOS 6D apre possibilità quasi illimitate nella progettazione delle macchine, pur essendo decisamente facile da configurare. Sofisticati algoritmi assicurano che le navette seguano un percorso ottimale evitando collisioni e riducendo al minimo il consumo di energia. Gli sviluppatori sono liberi di concentrarsi sul loro compito primario: sviluppare processi macchina ottimizzati, che garantiscano la massima produttività.

Trasduttori e Trasmettitori di pressione da KELLER

trasmettitori di pressione Keller

KELLER, il principale produttore di trasduttori di pressione e trasmettitori di pressione, è sinonimo di qualità e precisione svizzere

Dalla fondazione dell’azienda, lo sviluppo e la fabbricazione di tutti i prodotti avvengono nei reparti produttivi di Winterthur.

La consulenza specializzata è invece compito dei nostri responsabili tecnico-commerciali madrelingua; complessivamente, in tutto il mondo sono più di 480 i dipendenti che contribuiscono al successo dell’azienda. Tutto ciò rende KELLER il principale produttore di trasduttori di pressione| e trasmettitori di pressione, certificato secondo la norma ISO 9001.

KELLER Pressure fu fondata nel 1974 dall’inventore della cella di misura integrata in silicio, il fisico Hannes W. Keller. Oggi i suoi due figli, Tobias e Michael Keller, sono responsabili dell’attività aziendale. L’azienda è interamente proprietà di famiglia e ha 480 dipendenti.

KELLER PRESSURE
Leader del mercato nella produzione di trasduttori di pressione e trasmettitori di pressione isolati

KELLER punta consapevolmente sulla piazza economica svizzera. L’intera creazione di valore avviene nella sede principale dove opera anche la maggior parte dei dipendenti. Per questo, tutti i prodotti KELLER portano il sigillo di qualità «Swiss Made» e incorporano la sensibilità svizzera per qualità, funzionalità e affidabilità.

KELLER Druckmesstechnik AG, inclusa KELLER Gesellschaft für Druckmesstechnik mbH Jestetten, è certificata ISO 9001. Ciò garantisce la riferibilità delle grandezze di misura ai campioni nazionali.

Strumenti di misurazione della pressione piezoresistivi ad alta precisione in diverse versioni

La fabbricazione e la distribuzione di oltre 1,2 milioni di celle di misura della pressione all’anno è la competenza centrale di KELLER.

Grazie ai campi di pressione che vanno da 5 mbar a 2000 bar e grazie al vasto bagaglio di esperienze, i prodotti KELLER coprono un ampio spettro di esigenze.

Al centro vi sono sempre i desideri dei clienti. Gli oltre 45 anni di esperienza si combinano con un animo innovativo allo scopo di trovare soluzioni adeguate per applicazioni individuali.

I trasmettitori di pressione sono sensori dotati di un’elettronica supplementare per compensare scostamenti dalla linearità ed errori di temperatura ed emettere i risultati della misurazione come segnali normalizzati. Il segnale di ciascun trasmettitore viene rilevato rispetto all’intero andamento della pressione e della temperatura e tarato all’intervallo dei segnali desiderato.

Keller offre una gamma completa di trasmettitori di pressione:

  • Trasmettitori per applicazioni industriali e in zone a rischio
  • Trasmettitori per biotecnologie e industrie alimentari
  • Impianti e strumentazioni per il trattamento acqua

Sensori intelligenti con indicazioni digitali

Su scala mondiale siamo il maggior produttore di sensori di pressione isolati basati sul principio piezoresistivo.

Ogni anno consegniamo 600.000 sensori ai fornitori OEM per integrarli nei loro sistemi.

I sensori Keller sono alla base di strumenti digitali per la misurazione della pressione incorporati in sede di fabbrica.

Control Techniques, azionamento serie COMMANDER S, con la nuova app per il controllo plug-and-play

Control Techniques, società del gruppo Nidec, presenta un nuovo prodotto della gamma di azionamenti Commander e Marshal, una app rivoluzionaria

Commander S rappresenta una soluzione per le applicazioni che richiedono un controllo plug-and-play direttamente dal prodotto appena tolto dall’imballo. È facile da installare e da utilizzare, è affidabile ed economico. 

Commander S è il primo azionamento provvisto di serie di un’interfaccia di una app gratuita. Marshal rivoluziona la modalità dell’utente di interfacciarsi con l’azionamento e copre funzioni quali la messa in servizio, il monitoraggio, la diagnostica e il supporto tecnico.

Marshal, che dispone della tecnologia NFC, sarà l’esperto  sul campo al servizio dell’utilizzatore. Marshal consente la messa in servizio con alimentazione inserita/disinserita, persino quando l’azionamento è ancora nell’imballo; clonazione – i parametri possono essere trasferiti da un azionamento all’altro; diagnostica – Marshall fornisce una diagnostica in tempo reale anche ad azionamento spento e istruzioni passo passo per aiutare l’utilizzatore a risolvere eventuali problematiche e a rimettere in funzione l’azionamento; l’operatore può inoltre facilmente condividere schemi elettrici e configurazioni dell’azionamento in formato PDF via email o WhatsApp o altre applicazioni di messaggistica.

La robusta guida DIN per il montaggio/smontaggio “click-on” agevola l’installazione dell’azionamento da parte dell’utente finale, inoltre l’ingombro ridotto e il montaggio affiancato di Commander S consentono di risparmiare spazio nel quadro nei casi in cui esso sia limitato. Le designazioni dei terminali sono stampate a laser per una facile identificazione e la posizione angolata e sfalsata dei terminali stessi premette di raggiungerli facilmente con il cacciavite e di inserire i cavi.

Marshal rappresenta il modo più semplice e veloce di comunicare con Commander S. Disponibile per Android e iOS, consente di configurare l’azionamento in appena 60 secondi tramite la tecnologia NFC, oltre a offrire semplici routine di configurazione realizzate specificamente per varie applicazioni. Il menu FastStart, accessibile tramite Marshal, consente la messa in servizio assistita e occorrono solo quattro impostazioni tramite tasti per mettere in funzione il motore.

Commander S si avvale della più recente generazione di componenti e delle metodologie più innovative di fabbricazione.

Un processo di tropicalizzazione protegge l’azionamento da umidità, corrosione e polvere, assicurando i livelli di robustezza e affidabilità che da tempo contraddistinguono i prodotti di Control Techniques.  E per rafforzare ulteriormente questo messaggio, offriamo una garanzia gratuita di 5 anni, esattamente come per tutti i nostri azionamenti general purpose.

Commander S è ottimizzato per applicazioni semplici con un’adeguata serie di funzioni. Per la riduzione dei costi complessivi sostenuti dall’utilizzatore, numerose funzioni fondamentali sono integrate nell’azionamento, come il controllo intelligente del ventilatore, la comunicazione Modbus RTU e il filtro EMC C1.

Il nuovo Commander S rispetta inoltre i requisiti di efficienza energetica definiti dalla direttiva dell’Unione Europea sulla progettazione ecocompatibile denominata Ecodesign.

Commander S è disponibile in 3 taglie con una potenza da 0,18 a 4 kW.

Anthony Pickering, Presidente di Control Techniques, mette in risalto la diffusione della tecnologia NFC nella vita quotidiana e quanto essa costituisca un’esperienza rivoluzionaria per l’utilizzatore di azionamenti general purpose. 

“La NFC è presente nella vita di tutti noi, per esempio quando effettuiamo pagamenti con carta nei negozi. Sapevamo che questa era la tecnologia sulla quale puntare e perciò l’abbiamo adattata al Commander S. La NFC è davvero innovativa in questo settore e cambia radicalmente l’intera esperienza del Cliente, dall’installazione alla programmazione”, ha affermato Anthony Pickering, presidente di Control Techniques; “L’innovazione che stiamo introducendo sul mercato fa parte del costante sviluppo dei nostri prodotti e dei servizi correlati, e siamo orgogliosi del risultato raggiunto con questo nuovo azionamento.”

“Commander S assicura un’installazione e una programmazione veloci, fa il suo lavoro ed è verde! Questo colore ci riporta al nostro passato, agli inizi dell’attività di Control Techniques, quando eravamo noti come la società degli azionamenti verdi. E nell’ambito del processo costante di miglioramento, crediamo che il nostro passato sia importante; ciò che realizzeremo in futuro deriva da quanto abbiamo imparato nel tempo, quindi la scelta del colore verde ha voluto ribadire l’importanza che attribuiamo alla conoscenza e ai miglioramenti ottenuti negli anni.”

Control Techniques

Control Techniques, azienda di Nidec, storicamente produce azionamenti elettrici a velocità variabile sempre ai massimi livelli di avanguardia tecnologica.

Recentemente ha il supporto di un’importante capogruppo internazionale, Nidec e di tutti gli altri marchi che fanno capo alla stessa. Siamo un player di grande esperienza con un marchio riconosciuto dal mercato. Siamo orgogliosi del servizio che offriamo, non solo dalla sede centrale in Galles (UK), ma anche attraverso la nostre rete di 45 Drive Centre dislocati nel mondo. Siamo appassionati di drive e questa passione di guida ogni giorno nella ricerca dell’eccellenza. 

www.ControlTechniques.com

Industrial Valve Summit, valvole industriali e flow control in mostra

Un mese circa alla partenza della quarta edizione di IVS Industrial Valve Summit, il più importante evento internazionale dedicato alle tecnologie delle valvole industriali e alle soluzioni di flow control

Industrial Valve Summit, promosso da Confindustria Bergamo e Promoberg, si svolgerà a Bergamo il 25 e 26 maggio.

Trecento espositori attesi da 12 Paesi in rappresentanza di 4 Continenti, nello spazio più ampio mai offerto dagli organizzatori della fiera. Questi i numeri importanti attesi in fiera.

Il programma della parte convegnistica del Summit, ha già raccolto un numero record di contributi scientifici e offre un ricco palinsesto di conferenze scientifiche, momenti di confronto e incontri tecnici.

IVS introduce quest’anno un calendario di workshop, laboratori e panel complementari alle cinque sessioni tematiche.

Il grande fermento generato dalla transizione energetica è sotto la lente d’ingrandimento del comparto. In primo piano le sfide dell’idrogeno, che necessita di nuove infrastrutture per il trasporto e la distribuzione.

L’appuntamento di apertura, in programma il 24 maggio, sarà la tavola rotonda, prima nel suo genere, che esaminerà proprio il ruolo dell’idrogeno nei nuovi scenari legati alla decarbonizzazione.

I convegni discuteranno anche le nuove applicazioni delle ultime innovazioni, ad esempio, della manifattura additiva e delle tecnologie di Carbon Capture and Storage (CSS), ossia il confinamento geologico della CO2.

IVS rappresenta una vetrina per discutere il cambiamento e analizzare le direzioni verso cui il mercato è indirizzato, soprattutto nell’attuale contesto di profondo cambiamento.

Nel 2020 gli investimenti mondiali nel settore dell’oil & gas sono calati di circa il 30% e il recupero del 2021 si è espresso a ritmi moderati, ma insufficienti a riagganciare i livelli pre-pandemia.

Ne è conseguita una contrazione del fatturato delle imprese del settore (-11%), ma già nel 2021 l’export italiano è cresciuto a ritmi in linea (o più elevati) rispetto a quello dei competitor in oltre il 60% dei top-100 mercati mondiali.

Questi numeri emergono dall’Osservatorio IVS-Prometeia The oil & gas valve industry in Italy”, che sarà presentato integralmente durante il convegno di apertura del Summit.

La ricerca fotografa lo stato del comparto italiano, che conta 255 imprese, 11.400 addetti e un valore della produzione pari a 3,2 miliardi di euro.

L’Italia è in testa alla graduatoria dei produttori UE: quasi 2 valvole su 5 per l’oil & gas prodotte in Europa sono italiane. In particolare, entro un raggio di 100 km dalla Provincia di Bergamo ha sede un distretto industriale che genera oltre il 90% della produzione nazionale del comparto.

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