L’industria chimica deve
affrontare un passaggio generazionale della forza lavoro. Operatori e ingegneri
esperti stanno per andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria
esperienza alle nuove generazioni è sempre più urgente
Gli Universal Studios in Giappone hanno aperto di recente il primo
parco a tema Super Nintendo World: ora è possibile entrare nel Regno dei Funghi
e vivere il mondo di Mario in prima persona. Ma questa non è di certo la prima
esperienza di Mario in tre dimensioni. Il primo Mario in 3D risale al lontano
1996. Mario in 3D è ormai cresciuto abbastanza per smettere di giocare, e
trovare forse un lavoro in uno stabilimento chimico.
Ma cosa avrebbe trovato il
nostro eroe nel suo primo giorno di formazione? La sequenza di qualificazione
dell’operatore lo avrebbe stimolato? Nella vita reale, gli operatori odierni
sono cresciuti in ambienti 3D in
cui possono interagire, esplorare, commettere errori e poi riprovare. E si
aspettano un’esperienza simile in un corso di formazione industriale.
L’industria chimica deve affrontare un passaggio
generazionale della forza lavoro. Operatori ed ingegneri esperti stanno per
andare in pensione, e la necessità di trasferire la propria esperienza alle
nuove generazioni è sempre più urgente. Tuttavia, molte aziende chimiche si
affidano a metodi di formazione che non coinvolgono per niente la nuova
generazione.
AVEVA sviluppa software industriali che ispirano le persone a creare un futuro sostenibile. Nel mondo della formazione degli operatori, ciò
significa incoraggiare le aziende del settore industria chimica a utilizzare
una modalità di apprendimento coinvolgente ed esperienziale.
AVEVA™ XR for Training sfrutta l’investimento del Digital Twin di
un’azienda, per immergere i tirocinanti in un ambiente 3D coinvolgente, che
riflette lo stabilimento reale in tutto e per tutto. Con una connessione
diretta a un Operator Training Simulator AVEVA ™, l’ambiente di formazione può
persino imitare il comportamento dinamico del processo di un impianto chimico.
E poiché operare in sicurezza non è un gioco, AVEVA™
Unified Learning fornisce un servizio unico ed integrato per
accompagnare gli operatori attraverso l’intero ciclo di apprendimento – Learn, Practice, Assess, and Reinforce –
monitorando l’impatto sull’efficienza
operativa.
Proprio come il mondo 3D di
Mario, molte di queste tecnologie esistono da un po’ di tempo. L’elemento
innovativo è AVEVA ™ Connect, ossia la piattaforma cloud. Il software AVEVA nel
cloud favorisce la resilienza aziendale per i nostri clienti; consentendo loro
di ridurre i costi e scalare processi facilmente, rispondendo a condizioni
economiche dinamiche e garantendo una crescita sostenibile.
James si è laureato alla Carnegie Mellon University
in Mechanical Engineering and Engineering and Public Policy, e ha
successivamente conseguito un MBA presso la New York University. Dopo aver ricoperto diversi ruoli in aziende tecniche, lavora ora ad
AVEVA come Portfolio Marketing Manager per Operator Training Simulator.
Come monitorare in modo accurato e continuo le
particelle respirabili sospese nell’aria? Negli ambienti industriali sono presenti particelle di carbone,
polvere di silice e polveri da costruzione anche in presenza di carichi
pesanti, polveri di legno, tutte molto dannose per la salute dell’uomo,
ecco perché il monitoraggio polveri in ambiente di lavoro è basilare
Polveri dal
diametro di 10 micron sono inalabili, si depositano lungo
le vie respiratorie, quelle di diametro
2,5 micron sono addirittura respirabili, quindi possono penetrare nei
polmoni fino ad accumularsi nel sangue e raggiungere varie parti del nostro
organismo, è quindi necessario un monitoraggio
polveri efficace e accurato per poter prevenire conseguenze sulla salute umana
assai dannose.
In questo modo oltre a problemi di tipo respiratorio
possono verificarsi problemi anche in altri tessuti del corpo umano.
Oltre alle problematiche più urgenti legate alla
salute e alla sicurezza dei lavoratori,
si aggiungono i danni che l’accumulo di
polveri può causare al funzionamento delle
apparecchiature e delle macchine presenti in ambienti industriali,
provocando surriscaldamento, attriti, intasamento, depositi.
I campionamenti
manuali sporadici non bastano.
La tecnologia oggi ci consente di misurare la quantità di polveri presenti in un ambiente e dare immediata segnalazione qualora tale quantità superi quella consentita. Monitoraggio polveri in ambienti di lavoro.
AIR-XDè una
centralina compatta di nuova generazione che consente di ottenere informazioni
affidabili, continuative ed in tempo reale relative alla concentrazione totale
(TSP) delle polveri sottili nell’ambiente ed anche alla loro classificazione
dimensionale (PM).
AIR-XD è un contatore ottico di
particelle ad elevate prestazioni basato sulla tecnica rifrattometrica: è in grado di garantire un’accuratezza del
+/- 5%, raggiungibile solo in laboratorio, ma soprattutto è un sistema autonomo
con un’esigenza minima di manutenzione, dove ad esempio sono stati eliminati
componenti quali filtri e pompa (sostituiti da un sistema di convezione
naturale a portata autoregolata).
Display e tastiera a
bordo ne semplificano la programmazione; il sistema
funzionalmente autonomo fornisce la visualizzazione locale della concentrazione
e della tipologia delle polveri con uscite analogiche e digitali; inoltre un data-loggermemorizza analisi, eventi e diagnostica scaricabili su PC per
archiviazione o analisi di dettaglio a posteriori.
AIR-XD trova
applicazioni ideali nell’industria dei
metalli, in quella dei minerali e comunque ovunque ci siano polveri sottili
nell’aria ambiente dovute a trasporto, movimentazione o lavorazione.
emissioni, monitoraggio ambienti di lavoro, polverimetro, sicurezza
Dalla relazione del Presidente di Fabbrica intelligente, Luca Manuelli, emergono le direttrici di sviluppo dell’associazione che riunisce tutti i portatori di interesse della manifattura per una resilienza industriale
Nei prossimi mesi crescerà il numero di regioni e di attori coinvolti, e verrà sviluppato l’ecosistema dei Lighthouse, recentemente arrivati a 5 grazie ad Hsd Mechatronics forse destinati a diventare 6 con la candidatura di Wartsila. Azioni sulle filiere di fornitori. Un contributo importante alla politica industriale e al Pnnr con la proposta “Produrre un Paese resiliente” e con la prossima roadmap.
Quali evoluzioni stanno attraversando il ClusterNazionale
Fabbrica Intelligente (CFI),l’associazione
che riunisce tutti gli stakeholder
(regioni, università, centri di R&S ed aziende) della manifattura
avanzata, cioé della colonna portante del sistema economico italiano?
Come sarà il CFI del prossimo futuro?
Ne ha parlato il presidente Luca Manuelli nel corso del workshop
annuale Produrre un Paese Resiliente e Sostenibile.
LA MANIFATTURA ITALIANA: UNO
SCENARIO COMPLESSO E INCERTO
Ancora oggi, ha sottolineato Luca Manuelli, permane una situazione di profonda incertezza,
determinata dalla pandemia. Il Covid-19 ha prodotto circa due milioni di morti
a livello mondiale e circa 100mila in Italia. Il Pil globale è calato
quest’anno del 3,5%; e in Italia del 9%. Per il 2021 le previsioni sono in
continuo aggiornamento; allo stato, tuttavia, è prevista una crescita mondiale
del 5%, mentre in Italia con ogni probabilità ci si fermerà al 3-3.5%, al di
sotto degli obiettivi europei del 4,2%.
L’EVOLUZIONE DELLA MISSIONE
DEL CLUSTER: ECOSISTEMA COLLABORATIVO E RESILIENZA INDUSTRIALE
A fronte della pandemia e del suo impatto
sul fabric del Paese, CFI si sta sviluppando lungo due direttrici principali.
Il CFI
sta lavorando per far crescere il proprio ecosistema collaborativo.
Anzitutto, l’allineamento della sua missionedi sviluppare
l’ecosistema collaborativo dell’innovazione del manifatturiero all’attuale
scenario: con la disarticolazione delle filiere e il calo della domanda
sperimentati lo scorso anno, il cluster ha attribuito maggior rilievo
alla resilienza di sistema, e
cioè alla capacità delle imprese manifatturiere di reagire positivamente alle
avversità e di superare eventi traumatici.
Questa esigenza si è tradotta nella
visione sviluppata con una task force di 50 esperti che è stata sintetizzata
nel documento, “Produrre un Paese Resiliente”, una proposta
diretta al decisore politico, che si può essere approfondita qui.
Lo
sviluppo territoriale è una delle priorità del Cluster Fabbrica Intelligente
A proposito di “Produrre un Paese
Resiliente”, questo documento individua tre categorie di interventi:
anzitutto quelli immediati, per favorire l’accelerazione della
digital transformation con l’acquisizione di beni strumentali, software, metodologie, e con l’adeguamento di
soluzioni esistenti e il supporto alla trasformazione sostenibile
dell’industria.
Si parla, ad esempio di tecnologie per il
lavoro a distanza o di robot in grado di garantire un alto livello di
interazione con gli umani per gestire l’emergenza. Poi, quelli di medio termine specifici, e cioè quelli
che, grazie alla ricerca e all’innovazione, possono dar vita a soluzioni
innovative utili anche per supportare la riconfigurazione delle filiere.
Si pensi, ad esempio, alle attività di commissioning e di manutenzione a distanza; e più in
generale, alla collaboration basata sul Cloud. O, ancora, all’internet of
action, che permette ad operatori esperti di agire a distanza e di
riprodurre sensazioni ed azioni in modo interattivo e adattativo, come accade
nella robotica per la medicina. Infine, quelli di medio termine a carattere sistemico,
per dotare il Paese di un sistema di manifattura
di pronto intervento, in grado di produrre subito beni e strumentazioni
utili nell’emergenza in tempi ridotti e
in grandi volumi.
Anche la nuova Roadmap, in via
di completamento entro il primo trimestre del 2021, «sarà integrata da
obiettivi che potranno essere utili anche per la definizione del Recovery Plan».
Questa è il documento strategico di CFI
per definire le necessità della manifattura
italiana in termini di avanzamento
tecnologico e per rendere più competitivo il settore economico più
rilevante del Paese.
L’anno scorso erano stati impegnati sette
gruppi tematici (coordinati dal presidente del comitato tecnico
scientifico Tullio Tolio) formati da tecnici, docenti universitari
e soci del cluster. «Ora una parte del lavoro è confluito in Produrre un
Paese Resiliente – ha affermato Manuelli – visione che potrà essere
ulteriormente sviluppata grazie ai contributi emersi durante il Workshop per
poter essere sottoposta all’attenzione del Governo».
L’ESPANSIONE DELL’ECOSISTEMA
COLLABORATIVO
In secondo luogo, il
consolidamento delle sue principali attività e l’allargamento della sua base
associativa. Nella visione di CFI la resilienza della manifattura è un
fattore organico. Si può acquisire solo in un contesto forte, dove soggetti
diversi collegano le proprie competenze.
«La nuova visione – ha affermato Manuelli –
è portata avanti dall’intero ecosistema» che ruota attorno al Cfi. Ad oggi
il Cluster conta 287 membri, di cui 218 partner industriali, regioni
e diversi tra università, centri di ricerca, e altri.
Produrre un Paese Resiliente
Quanto alle Regioni, sono sette quelle
(Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Puglie) che
hanno da tempo formalizzato un Accordo di Programma con il Mur sulle tematiche
della Fabbrica Intelligente propedeutico allo sviluppo dei Cluster
Territoriali. «L’obiettivo – ha afferma Manuelli – è raddoppiare questo numero
in tre anni, coinvolgendo maggiormente il Sud del Paese». In particolare, sono
già stati individuati potenziali candidati dalle Regioni Friuli Venezia
Giulia, Trentino Alto Adige e Umbria, e si stanno
stringendo rapporti con Toscana, Lazio, Campania, Abruzzo e Basilicata.
HSD Mechatronics è recentemente diventata Lighthouse
Plant del CFI
Quanto agli impianti Faro, già nel 2020 ne
è aumentato il novero: dopo i Lighthouse dei grandi gruppi internazionali Ansaldo Energia, Abb, Hitachi Rail,
Tenova-Ori Martin, a rivestire il ruolo di Lighthouse Plant è giuntaHSD
Mechatronics del gruppo Biesse,
che è quotato in Borsa.
Con 80 milioni di fatturato, 340
dipendenti, Hsd è la prima media impresa ad essere insignita di tali status e
missione. Grazie a HSD anche aziende di dimensioni più piccole rispetto a
quelli di prima generazione potranno permettere di dimostrare quali soluzioni
tecnologiche si possano adottare per migliorare la competitività, la resilienza
e la sostenibilità.
Dopo il quinto Lighthouse di HSD,
nel 2021 si dovrebbe aggiungere al novero degli Impianti Faro la fabbrica di
Trieste di Wärtsilä, azienda finlandese leader mondiale nella
fabbricazione di sistemi di propulsione e generazione d’energia per uso marino
e centrali elettriche; e due Big italiani del farmaceutico e dell’aeronautico, Menarini e Leonardo, hanno
avviato il percorso per diventarlo a loro volta.
Altri nuovi importanti attori
dell’ecosistema collaborativo del CFI sono i Pathfinder, partner
tecnologici del cluster in grado di contribuire all’individuazione delle
principali traiettorie di sviluppo dell’innovazione a supporto della
competitività della manifattura italiana. Nel 2020 ne è stato ampliato il
numero: dopo l’accordo con Sap del 2019, si sono aggiunti Deloitte e Cisco. Nel 2021 è entrata a far parte del novero
anche Siemens. Ma, ha affermato Manuelli, ci saranno altre novità
nel corso di quest’anno.
LE FABBRICHE FARO SI APRONO
ALLE FILIERE E ALL’OPEN INNOVATION
Le aziende capo-filiera che hanno avviato
i Lighthouse Plan hanno avviato il processo di coinvolgimento della
propria filiera di fornitori nel processo di trasformazione
digitale. Dopo il successo di AENet 4.0, con il quale Ansaldo Energia ha
coinvolto 100 fornitori strategici italiani con il supporto di 11 DIH di
Confindustria coordinati da quello ligure e del Competence Centre lombardo MADE
e di quello ligure START 4.0, anche ABB ha avviato
un’iniziativa di filiera con il supporto del Digital Innovation Hub Lombardia
che ha realizzato l’assessment di un campione di 17 supplier di Abb operativi in
Lombardia, Veneto e Lazio e costituito da piccole e medie imprese afferenti a
differenti categorie merceologiche.
Per quanto riguarda l’apertura dei Lighthouse all’Open Innovation, dopo il successo della call for innovation Digital X Factory di Ansaldo Energia (160 startup partecipanti, 11 selezionate nel Pitch finale e 6 che lavorano nella Fabbrica Faro), nel 2020 il CFI ha lanciato sulla piattaforma di Open Innovation della Regione Lombardia X Factory con due challenge distinte e collegate agli Impianti Faro di ABB e di ORI – Martin Tenova: la prima focalizzata ad acquisire “proposte di soluzioni” di stampa 3D di sostanze metalliche per incrementare la velocità di esecuzione e superare il problema dei piccoli lotti; la seconda invece relativa alla cybersafety e, in particolare, la sensoristica per la sicurezza dei lavoratori in aree di rischio.
Quando si parla di transizione energetica e di idrogeno verde è bene guardare a Bassano del Grappa (Vicenza), dove si sta costruendo un pezzo di storia dell’idrogeno per uso riscaldamento.
Qui sorge infatti lo stabilimento di Baxi, delegato a livello corporate dal gruppo BDR Thermea (1,8 miliardi di fatturato annuo e 6200 dipendenti) a condurre attività di ricerca e sviluppo proprio sul vettore della transizione energetica.
Baxi punta sulla produzione a impatto zero e sulle
rinnovabili. Lo dimostra l’impianto
fotovoltaico ad alta efficienza di 6.000 metri quadri installato sul tetto
dello stabilimento, capace di generare 992 kW che permettono, a quella che va
considerata una green factory, di
ottenere il 100% dell’energia necessaria per produrre le circa 4.000 caldaie al
giorno.
Una parte di quell’energia è dedicata all’autoproduzione di idrogeno verde,
quello ottenuto dall’acqua tramite
elettrolisi.
Infatti, la società ha attrezzato un locale esterno dedicato ad accogliere le apparecchiature necessarie per il processo di elettrolisi per la trasformazione di energia elettrica in idrogeno. Da qui è nato il progetto presentato da BDR Thermea Group della prima caldaia domestica premiscelata certificata alimentata ad idrogeno, nel 2019- .
Sempre a Bassano del Grappa si testano i prototipi
funzionanti a idrogeno puro e a miscele con gas naturale. Non solo: «da poche
settimane si è affiancato un secondo impianto, che produce sempre idrogeno
verde. Debitamente stoccato nelle batterie di alimentazione, provvede a fornire
il combustibile per le caldaie in test nei nostri laboratori, ma anche a
soddisfare le esigenze di riscaldamento e di produzione di acqua calda dei
nostri uffici», afferma l’Ing. Alberto Favero, direttore generale di Baxi.
Idrogeno per
riscaldamento: è il momento giusto per crederci
Ma quali sono i fattori che hanno portato Baxi a puntare
sull’idrogeno? «Direi diversi e in varie fasi temporali.
Abbiamo interpretato da tempo alcuni trend di mercato internazionale,
decisamente forti in alcuni Paesi. Penso, per esempio, al Regno Unito, dove da
tempo si è cominciato a declinare il concetto di transizione energetica
guardando sì all’elettrico, ma anche al gas miscelato all’idrogeno», spiega lo
stesso Favero. A Leeds hanno avviato sin dal 2017 il progetto H21, finalizzato
a convertire all’uso di idrogeno la rete di riscaldamento cittadina.
Mentre in Italia? «Stiamo raccogliendo un crescente
interesse da varie multiutility, sempre
più convinte sia dall’agenda UE sia dai piani della Germania, che punta decisa
all’idrogeno con un piano che prevede investimenti per circa 50 miliardi per le tecnologie green, circa un quinto
dei quali dedicate all’idrogeno –
sottolinea lo stesso direttore generale Baxi – Inoltre, si sta facendo
sperimentazione anche sul versante dei trasporti».
Il mercato che si apre verso l’idrogeno per
riscaldamento è promettente. «Lo sarà ancor più se, però, in concomitanza, ci
sarà un’apertura in altri settori dove l’impiego dell’idrogeno diventa
un’opzione attraente. Penso, per esempio, al settore dei trasporti, su gomma e
su rotaia. Se si aprirà a un consumo massivo allora si apriranno opportunità di
mercato davvero importanti. L’ideale quindi è che si portino avanti più
progetti pilota in vari ambiti».
Idrogeno per il
riscaldamento: dalla caldaia premiscelata a quella 100% idrogeno
Come specifica il direttore
Ricerca & Sviluppo Antonio Sandro, la società del gruppo
BDR Thermea ha due progetti di cui uno pensato per il breve termine, ovvero
quella della caldaia premiscelata che prevede il blend idrogeno-gas naturale.
In questo caso può essere prevista una miscela anche
fino al 20%. «Il progetto di caldaia al 100% è pensato con un orizzonte più a
lungo termine, ma non così lontano: basandoci su Paesi target dove la
sperimentazione è già avanzata, lavoriamo per un prodotto compatibile con le
attuali tecnologie, ideale sia come installazione ex novo sia soprattutto in
caso di sostituzione dell’esistente.
L’obiettivo è fornire una soluzione che garantisca
efficienza energetica e attenzione alle emissioni».
Il fatto stesso che oggi non vi sia ancora idrogeno,
o comunque non in percentuali significative, non è un problema: la caldaia è
stata pensata per funzionare con gas naturale ma già hydrogen
ready, quindi pronta on demand quando ci saranno le condizioni di
disponibilità d’idrogeno in rete, sia miscelato sia puro.-
Dal punto di vista degli installatori cosa implica
la caldaia premiscelata a idrogeno? «A livello tecnico richiede le stesse
attenzioni di una caldaia tradizionale. È progettata con gli stessi livelli
elevati di sicurezza richiesti oggi dagli impianti a metano. In più prevede,
per esempio, la possibilità di taratura per l’impiego del gas puro o
premiscelato con idrogeno».
Idrogeno per
riscaldamento: orizzonte al 2025
In prospettiva, quando l’idrogeno farà il proprio
ingresso in maniera consistente nel comparto del riscaldamento? «Dipenderà da
nazione a nazione – risponde Favero –. In Paesi come Regno Unito e Paesi Bassi
ci sono già progetti pilota che, nell’arco di due anni, apriranno la via alla
possibilità di installare su più larga scala caldaie 100% idrogeno in edifici
residenziali. Nel complesso, è comunque possibile pensare all’installazione di
caldaie a idrogeno per tutti i nuovi impianti di caldaie a gas entro il 2025».
In effetti, Baxi Heating
UK ha chiesto al governo britannico
di autorizzare l’installazione di questo tipo di caldaie entro quell’anno.
Certo, tanto dipenderà
dalla possibilità di disporre di una significativa fornitura di idrogeno blu (o grigio), in attesa di
contare sull’idrogeno verde.
<<Oggi l’idrogeno
subisce l’effetto di scala: si parla molto di diverse “tonalità”, con
l’idrogeno verde in cima ai desiderata, tuttavia oggi questa tipologia di idrogeno
sconta un prezzo molto alto per la sua produzione, specie rispetto a quello blu
o grigio. L’importante però è cominciare: perché una volta che si coglieranno i
vantaggi – specie in termini di emissioni
ridotte o azzerate, ancor più nel caso del green
hydrogen – non ci saranno più paragoni, nemmeno con
l’energia elettrica, che sappiamo ancora prodotta in buona parte da
combustibili fossili. Inoltre, l’idrogeno gode di un vantaggio significativo:
una volta prodotto, è possibile stoccarlo. E poi può contare sulla possibilità
di essere veicolato tramite rete gas, già esistente e diffusa in maniera
estesa. È necessario, quindi, superare lo scoglio dei costi. Per questo,
ribadisco, è importante estendere la sperimentazione in altri contesti dove vi
siano consumi energetici significativi», conclude il direttore generale.>>
La business intelligence (BI) combina business analytics, data mining,
visualizzazione dei dati, strumenti e infrastrutture per i dati, nonché le best
practice per permettere alle organizzazioni di prendere più decisioni basate
sui dati
In buona sostanza, sai
di aver acquisito la business intelligence moderna quando hai una vista
completa dei dati della tua organizzazione e li usi per stimolare il
cambiamento, eliminare le inefficienze e attuare un rapido adattamento ai
cambiamenti di mercato e forniture.
Più che indicare una “cosa” specifica, business intelligence è un
termine onnicomprensivo che riguarda i processi e i metodi per raccogliere,
memorizzare e analizzare i dati tratti dalle operazioni o attività aziendali
con l’obiettivo di migliorare le prestazioni. Tutti questi elementi vanno a
creare una vista completa dell’azienda, aiutando le persone a prendere
decisioni migliori e concretizzabili.
Negli ultimi anni, la business intelligence si è sviluppata includendo più
processi e attività per consentire il miglioramento delle prestazioni. Tali
processi includono:
Data mining: uso di database, statistiche e
apprendimento automatico per svelare i trend in ampi set di dati.
Elaborazione di report: condivisione
delle analisi dei dati con i soggetti interessati, affinché possano trarre
conclusioni e prendere decisioni.
Metriche e benchmarking delle prestazioni: confronto dei dati sulle prestazioni attuali con i dati storici,
per monitorare le prestazioni rispetto agli obiettivi. Di solito, si
esegue usando dashboard personalizzate.
Analisi descrittiva: utilizzo di
analisi dei dati preliminari per comprendere cosa è accaduto.
Esecuzione delle query: interrogazione
dei dati con specifiche domande, per cui la BI estrae le risposte dai set
di dati.
Analisi statistica: partendo
dai risultati dell’analisi descrittiva, ulteriore esplorazione dei dati
usando le statistiche, per esempio in relazione a come e perché si sia
verificato un determinato trend.
Visualizzazione dei dati: trasformazione
dell’analisi dei dati in rappresentazioni visive, come grafici, diagrammi
e istogrammi, per una fruizione dei dati più facile.
Analisi visiva: esplorazione dei dati attraverso le
rappresentazioni visive, per comunicare informazioni al volo e seguire il
flusso dell’analisi.
Preparazione dei dati: compilazione
di diverse origini dati, identificandone dimensioni e misurazioni e
preparandole per l’analisi dei dati.
Perché la business intelligence è importante?
La business
intelligence consente alle aziende di prendere decisioni migliori, mostrando
dati attuali e storici all’interno del contesto aziendale.
Gli analisti possono sfruttare la BI per fornire benchmark su prestazioni e concorrenti, per consentire
all’organizzazione di funzionare in modo più fluido e più efficiente.
Inoltre, gli analisti possono
individuare facilmente i trend di mercato, per aumentare le vendite o gli
introiti.
Se usati in modo efficace, i dati giusti possono essere utili per qualsiasi
attività, dalla conformità alle assunzioni.
Ecco alcuni modi in cui la business intelligence può
consentire alle aziende di prendere decisioni più intelligenti basate sui dati:
Identificare i
modi per aumentare i profitti
Analizzare il
comportamento dei clienti
Confrontare i
dati con i concorrenti
Monitorare le
prestazioni
Migliorare le
operazioni
Prevedere il
successo
Individuare i
trend di mercato
Scoprire
complicazioni o problemi
Come funziona la business intelligence
Le aziende e le organizzazioni hanno tante domande e tanti obiettivi.
Per rispondere alle domande e monitorare le prestazioni rispetto agli
obiettivi, raccolgono i dati necessari, li analizzano e determinano le azioni
da intraprendere per raggiungere i propri obiettivi.
Dal punto di vista tecnico, i dati non elaborati vengono raccolti
dall’attività aziendale, per poi essere elaborati e archiviati nei data warehouse.
Dopodiché, gli utenti possono accedere ai dati e passare all’analisi per
rispondere alle domande che riguardano l’azienda.
Come funzionano insieme BI, analisi dei dati e
business analytics
La business intelligence include analisi dei dati e business analytics.
Tuttavia, li usa solo come parte dell’intero processo. La BI consente agli
utenti di trarre conclusioni dalle analisi dei dati.
I data
scientist approfondiscono le specifiche dei dati, usando statistiche avanzate e
analisi predittive per svelare modelli e prevedere modelli futuri.
La domanda
dell’analisi dei dati è: “Perché è successo e cosa potrà succedere?”
La business intelligence ricorre a quei modelli e algoritmi e scompone i
risultati in un linguaggio fruibile.
Secondo il glossario dei termini IT di Gartner, la “business analytics include il data mining, l’analisi predittiva, l’analisi applicata e la statistica“.
In breve, le organizzazioni conducono la business analytics quale parte
della più ampia strategia di business intelligence.
La BI è
progettata per rispondere a query specifiche e fornire un’analisi
immediata, utile per decisioni e pianificazione.
Le aziende, però, possono usare i processi di analisi per migliorare
continuamente l’iterazione e le domande di follow-up.
L’analisi aziendale non deve essere un processo lineare, perché la risposta
a una domanda porterà con ogni probabilità a sviluppare nuove domande e così
via. Al contrario, va considerata come un processo ciclico, che comprende le
fasi di accesso ai dati, identificazione, esplorazione e condivisione delle
informazioni. Si parla, appunto, di ciclo di analisi per descrivere come le
aziende usano l’analisi per rispondere alle domande e alle aspettative in
continuo cambiamento.
La differenza tra BI tradizionale e BI moderna
In passato, gli strumenti di business intelligence si basavano su un
modello tradizionale.
Si trattava di un approccio top-down in cui la business intelligence era
gestita dall’organizzazione IT e si usavano report statici per rispondere alla
maggior parte delle domande di analisi, se non a tutte.
Perciò, se qualcuno aveva un’ulteriore domanda sul report ricevuto, la sua
richiesta veniva messa in fondo alla coda di reporting e il processo doveva
ripartire daccapo.
Di conseguenza, i cicli dell’attività di report erano lenti e frustranti e
le persone non riuscivano a sfruttare i dati attuali per prendere decisioni.
La business intelligence tradizionale rappresenta ancora un approccio
comune per le ordinarie elaborazioni di report e per rispondere a query
statiche.
Invece, la business intelligence moderna è interattiva e
accessibile. Sebbene i reparti IT siano ancora fondamentali per la gestione
dell’accesso ai dati, molteplici livelli di utenti possono personalizzare le
dashboard e creare report anche con poco preavviso. Con il software appropriato,
gli utenti sono in grado di visualizzare i dati e rispondere alle proprie
domande.
Strumenti e piattaforme di business intelligence
Molti strumenti e piattaforme self-service di business intelligence
semplificano il processo di analisi. In questo modo per le persone è più facile
osservare e comprendere i dati, pur non avendo le competenze tecniche per
approfondirli autonomamente. Sono disponibili molte piattaforme di BI per
l’attività di report ad hoc, la visualizzazione dei dati e la creazione di
dashboard personalizzate per molteplici livelli di utenti.
Il ruolo futuro della business intelligence
La business intelligence si sviluppa continuamente di pari
passo con le esigenze aziendali e la tecnologia. Pertanto, ogni anno,
individuiamo i trend attuali per tenere gli utenti al passo con le innovazioni.
Visto
l’obiettivo delle aziende di essere sempre più basate sui dati, l’impegno per
la condivisione dei dati e la collaborazione aumenterà. La visualizzazione dei
dati sarà ancor più fondamentale per il lavoro congiunto tra team e reparti.
La BI offre funzionalità per il monitoraggio delle vendite quasi in tempo
reale, consente agli utenti di scoprire le informazioni nel comportamento dei
clienti, di prevedere i profitti e molto altro. Svariati settori, come quello
della vendita al dettaglio, assicurativo e petrolifero, hanno adottato la BI, e
ogni anno se ne aggiungono altri. Le piattaforme di BI si adattano
all’innovazione e alle nuove tecnologie degli utenti.
La pandemia ha costretto molte
aziende a ripensare a come misurare successo e risultati e reinventarsi impresa sostenibile
Nel periodo pre-Covid, la maggior
parte delle imprese era concentrato soprattutto sulla gestione della
redditività e della crescita. Quello che questa crisi ha rivelato è
l’importanza della flessibilità, della resilienza e della sostenibilità nel suo
senso più ampio. Diventare quindi sempre più impresa sostenibile.
La prossima “normalità”
Mentre le aziende si adattano alle
dinamiche di mercato di quella che molti definiscono la “nuova normalità”, è
anche tempo per loro di considerare il futuro che le attende in uno scenario
che si sta delineando molto diverso da quello in cui viviamo oggi: un futuro
che sarà la nostra “prossima normalità”.
Conosciamo tutti le enormi sfide
legate al cambiamento climatico.
Secondo le Nazioni Unite, siamo entrati nel “decennio dell’azione”.
Una finestra di otto-dieci anni in
cui, come individui e organizzazioni, possiamo ancora apportare i cambiamenti
necessari per mitigare gli effetti negativi sul cambiamento climatico.
La sostenibilità, tuttavia, va oltre le questioni ambientali. Ha a che
fare anche con la creazione di luoghi sani e sicuri in cui vivere, la riduzione
delle disuguaglianze e la garanzia di un’educazione accessibile a tutti, come
definito dagli Obiettivi diSviluppo Sostenibile (OSS/SDGs) delle
Nazioni Unite.
Oggi per molte aziende, questo
concetto esteso di sostenibilità ha assunto un significato più profondo. Già
prima della pandemia, le imprese venivano incoraggiate a misurare la sostenibilità e il successo aziendale,
in modo da collegare i classici tre ambiti: impatto economico, sociale e ambientale.
Imprese Intelligenti
Le conversazioni con molti
business leader si concentrano su come le imprese possono superare l’incertezza
sviluppando maggior resilienza e modelli veramente sostenibili adatti per
ripartire nell’economia post-pandemia.
L’emergenza Covid-19 ha non solo
accelerato in modo significativo il percorso di molte aziende verso la
sostenibilità, ma le ha anche portate a comprendere i vantaggi che potrebbero
ottenere. E in futuro saranno indubbiamente le imprese sostenibili ad attrarre maggiori finanziamenti, migliorare il
business e conquistare l’attenzione dei consumatori.
In che modo le organizzazioni
possono realizzare nuovi vantaggi in termini di sostenibilità?
Claudio
Muruzabal, SAP President for Southern Europe, Middle East and Africa, afferma di aver creduto
a lungo – e di averne molto discusso con clienti e partner – nel ruolo
fondamentale che la tecnologia ricopre per le aziende nell’aiutarle a
raggiungere i propri obiettivi e creare un valore che rimane nel tempo.
E l’unico modo per ottenerlo è
semplificare i processi aziendali sfruttando le tecnologie emergenti per creare una piattaforma operativa e gestionale integrata e basata sui dati. Le
aziende che raggiungono questo livello di semplificazione diventano vere imprese intelligenti.
La capacità di riconvertirsi
Durante i momenti più difficili
dei numerosi lockdown che ognuno di noi ha vissuto, abbiamo visto case
automobilistiche iniziare a produrre respiratori, aziende vinicole realizzare
disinfettanti per le mani di alta qualità e produttori di filati convertire i
loro impianti per confezionare dispositivi di protezione individuale.
Certamente non era il loro core
business. Ma hanno capito che era in linea con il loro purpose,
hanno compreso le aspettative dei loro clienti e come potevano agire per
aiutare chi ne aveva bisogno. Sono stati in grado di reinventarsi per adattarsi
alle condizioni di mercato ed esplorare nuovi modelli di business, scalando
verso l’alto o il basso a seconda delle esigenze, rimanendo, al contempo,
concentrati sui propri clienti e dipendenti.
Nel bel mezzo della pandemia,
abbiamo visto Al Dahra, azienda agroalimentare degli Emirati Arabi Uniti,
centralizzare i propri processi di approvvigionamento per garantire forniture e
consegne in tempi più rapidi, e individuare nuovi fornitori per soddisfare l’aumento
della domanda. Abbiamo visto il leader italiano dell’ingegneria industriale De
Nora implementare da remoto in pieno lockdown il nuovo sistema gestionale nella
sua consociata statunitense. E ancora, il Ministero della Sanità del Marocco ha
allestito una SAP Digital Boardroom in due sole settimane per fornire il
monitoraggio e il tracciamento in tempo reale del contagio da Covid-19.
Queste aziende non sono state
fortunate né si sono trovate nel posto giusto al momento giusto. Sono state
capaci di prendere decisioni basate su dati contestuali e in tempo reale
riguardo alle loro operation e di combinarle con le richieste e le
esperienze dei clienti e dei dipendenti per raggiungere grandi risultati.
Ciò che questa pandemia sta
dimostrando è che le imprese intelligenti sono, per definizione, sostenibili e
resilienti. Questa resilienza permette loro di affrontare le sfide in modo olistico, pur continuando ad
avere un impatto positivo all’interno delle loro comunità e, più in generale,
nel mondo.
Anche con l’ampliamento
della definizione di sostenibilità dell’UNDP,
le imprese intelligenti hanno la capacità unica di diventare organizzazioni
sostenibili, perché sono in grado di prendere decisioni rapide e guidate dai
dati lungo l’intera catena del valore.
La sostenibilità, tuttavia, va oltre le questioni ambientali: ha a che
fare anche con la creazione di luoghi sani e sicuri in cui vivere, la riduzione
delle disuguaglianze e la garanzia di un’educazione accessibile a tutti.
La vera sostenibilità
Realizzare la vera sostenibilità
nello scenario post-pandemia significa sapere dove si trovano i clienti e gli
stakeholder, di cosa hanno bisogno in questo momento e come servirli al meglio
con prodotti e servizi per loro rilevanti. Vuol dire sapere dove si trovano le
materie prime ed essere in grado di orientarsi verso nuove fonti di
approvvigionamento quando una non è più disponibile. Vuol dire creare un pool
di talenti all’interno dell’organizzazione che sappia affrontare situazioni di
lockdown improvvise e adottare un nuovo approccio efficace e chiaro ai viaggi
quando le limitazioni per gli spostamenti iniziano ad aumentare.
Soprattutto, si tratta di
utilizzare la tecnologia per creare
resilienza, innovazione e sviluppo. In questo modo, se dovesse arrivare una
prossima crisi, la vostra azienda non solo sarà meglio preparata a superare la
tempesta, ma identificherà e trarrà vantaggio dalle nuove opportunità. Questa è
la “prossima normalità” con la quale tutti noi dovremo imparare a
convivere.
L’economia è sempre più green. Si tende a puntare sui Megatrend, ossia fenomeni di lungo periodo destinati a trasformare il mondo che conosciamo, dall’Ambiente al Digitale
L’Ambiente e le risorse naturali, le energie rinnovabili, i cambiamenti sociali e demografici con l’invecchiamento della popolazione, ma anche la tecnologia e l’energia pulita, e ancora la salute, la ricerca e il benessere delle persone.
L’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, ha cambiato profondamente le abitudini e gli interessi del mondo intero, anche in campo economico, e sui risparmi della popolazione. Questi i temi a cui è rivolta oggi più che mai l’attenzione e l’interesse. Si sta spingendo sempre più ad investimenti sostenibili, e a tutti quei “Megatrend” ovvero quelle tematiche che consentono di investire sui fenomeni di lungo periodo, destinati a trasformare il mondo in cui viviamo, lavoriamo, consumiamo.
Un investimento oculato quindi sul nostro futuro e soprattutto su quello dei nostri figli e nipoti.
I Megatrend sono alla base di numerosi fondi, attivi e passivi, di gestioni assicurative e di piani pensionistici che combinano in genere varie tematiche e puntano su molteplici aziende per ridurre il rischio. Tra le società di gestione italiane che stanno maggiormente premendo l’acceleratore sul fronte Megatrend vi sono realtà come Fineco Bank, che propone il fondo dei fondi, FAM Megatrends con cinque tematiche di base, cioè: invecchiamento della popolazione, crescente scarsità d’acqua, veicoli elettrici, cambiamenti climatici e cure oncologiche. L’Associazione ANIMA invece punta in particolare sulla cosiddetta “Silver Economy” ovvero il cambiamento dei modelli di consumo e di trasformazione digitale. Sul fronte delle formule assicurative di investimento ci sono poi alcuni interessanti prodotti come GeneraValore del gruppo Generali Italia che propone di cogliere le opportunità del Megatrend demografici, di business, e investimenti sostenibili.
Le imprese, aziende e industrie, gli investitori in tutto il mondo, chiedono sempre di più sostenibilità per i propri investimenti, e anche in Italia si punta sempre più al risparmio gestito e in generale alle aziende a cui dare fiducia e denaro. Tra i fondi a cui si guarda con interesse, per esempio, c’è ESG- ENVIRONMENTAL (rispetto per l’ambiente) SOCIAL (attenzione al sociale) GOVERNANCE (buon governo) con una gestione aziendale in linea con i principi economici ma soprattutti con quelli etici.
Anche in Italia cresce l’offerta di prodotti sostenibili. Il Gruppo Poste Italiane, ad esempio, integra i principi ESG nei processi di investimento e di assicurazione. con il Fondo Poste Investo Sostenibile socialmente responsabile, che investe in un paniere di titoli selezionato con attenzione specifica ai fattori ambinetali, sociali e di governance e con un benchmark composto da indici che sono essi stessi sostenibili.
E ancora, si chiama Diamond Eurozone Office il fondo immobiliare tutto “green” che ha ottenuto la massima valutazione internazionale Gresb.
Anche il Mediolanum Flessibile Globale è diventato Flessibile Futuro Sostenibile e al tradizionale approccio gestionale affiancherà anche un approccio ESG con l’obiettivo di contribuire alla riduzione delle emissioni di carbone.
A ottobre scorso è stato lanciato inoltre il Best Brands Global Impact da Mediolanum International Funds, soluzione di investimento azionario globale che investe in aziende in grado di generare un impatto positivo in termini sociali e ambientali.
L’industria
chimica è un settore indispensabile” – ha dichiarato Paolo Lamberti, “anche
l’emergenza Covid-19 lo ha chiaramente dimostrato. Il Governo ne tenga conto
nelle scelte imminenti per uscire dalla crisi”
Nel corso dell’Assemblea di Federchimica, Lamberti ha ricordato che sin dal primo lockdown, il settore non ha mai interrotto la produzione in quanto fornitore essenziale lungo le catene del valore (“una infrastruttura tecnologica”) ma anche produttore di manufatti di estrema necessità, che vanno dai gas medicinali – in particolare dall’ossigeno – ai disinfettanti, a tutte le materie prime per realizzare maschere, guanti, camici e visiere, che hanno iniziato a scarseggiare fin dall’inizio dell’emergenza. “Le nostre imprese – ha proseguito Lamberti – hanno moltiplicato gli sforzi di produzione e sostenuto concretamente la Protezione Civile Nazionale e alcune Regioni nel rintracciare questi prodotti e nel renderli disponibili laddove necessario”.
L’industria chimica in Italia, oltre 2.800 imprese che impiegano circa 112.000 addetti, con un valore della produzione pari a 55 miliardi di euro (e una quota di export del 56%) è il terzo produttore europeo e il dodicesimo al mondo.
Il settore chiude il 2020 con una produzione in calo del 9%: un dato che, seppure in forte diminuzione, evidenzia una maggiore tenuta rispetto all’industria in generale.
Pesa la contrazione senza precedenti dell’attività di numerosi settori clienti, che ha inevitabilmente condizionato anche la domanda di chimica.
La
seconda ondata di contagi rischia di interrompere bruscamente il percorso di
recupero intrapreso durante i mesi estivi e già nel quarto trimestre si
intravedono alcuni segnali di indebolimento.
“Le prospettive per il 2021 rimangono
estremamente incerte e non potremo certamente aspettarci un pieno recupero
rispetto alle perdite registrate nel 2020.
L’incertezza ostacola le decisioni di acquisto
dei clienti, che si manifestano in modo molto frammentario e discontinuo. Di
conseguenza, nel 2021 possiamo ipotizzare il ritorno a
una moderata crescita della produzione chimica, intorno
al 4%.
Nel corso della sua relazione, Lamberti ha
sottolineato le solide prospettive occupazionali che
l’industria può offrire.
I
giovani rappresentano il 20% dell’occupazione e quasi un addetto su quattro è laureato, a fronte di
una media industriale di circa uno su dieci.
I contratti a tempo indeterminato sono la stragrande maggioranza (il 95%) e
negli ultimi 4 anni il settore ha generato oltre 6.000 nuovi posti di
lavoro e l’occupazione evidenzia una buona tenuta anche nel 2020: dunque –
nonostante l’innalzamento dell’età pensionabile le criticità già evidenti a
fine 2019 – le imprese chimiche stanno investendo nel capitale umano, anche per
dotarsi di nuovi competenze in ambiti strategici quali la ricerca e la
digitalizzazione.
“Come imprese chimiche – prosegue Lamberti –
dobbiamo essere consapevoli che il nostro contributo alla ripresa sarà
fondamentale, soprattutto per rendere possibile quella rivoluzione ambientale
di cui tanto si parla.
“Gli ambiziosi obiettivi del Green Deal europeo, che impatteranno
significativamente sui modelli di offerta e sui comportamenti di consumo,
potranno essere conseguiti anche grazie alla forte e pervasiva spinta verso
l’innovazione tecnologica che la Chimica è in grado di produrre.
“Siamo il primo settore industriale per quota
di brevetti ambientali, pari al 40% del totale. Abbiamo perciò un ruolo
determinante nelle tecnologie per la gestione ambientale (emissioni
inquinanti, rifiuti e suolo), la conservazione e disponibilità di acqua e la
mitigazione del cambiamento climatico.
“Senza dimenticare – prosegue Lamberti –
lo sviluppo di competenze tecnologiche all’avanguardia, quali le fonti rinnovabili e le biotecnologie
industriali, il riciclo chimico e la chimica da rifiuti, l’impegno nella
progettazione sostenibile e circolare dei prodotti, lo sviluppo di tecnologie
innovative per l’efficienza energetica degli edifici, per una mobilità
ecosostenibile, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2 e
per l’idrogeno pulito.
“Proprio per il vasto e multiforme contributo di
conoscenze che la Chimica è in grado di fornire, Federchimica crede fortemente
nel cosiddetto approccio “One Health”,
secondo il quale la salute umana, quella animale e la protezione dell’ambiente
sono ambiti strettamente interconnessi, e la Ricerca deve e dovrà tenerne
conto.
“Ci aspettiamo – conclude Lamberti – che il
cosiddetto Piano di Ripresa e
Resilienza, superate le tante divisioni, abbia un forte orientamento
industriale, per favorire richieste funzionali al rilancio. Chiediamo che si
tenga conto delle esigenze dell’industria chimica, settore strategico,
altamente specializzato, per sua natura portato al cambiamento e da sempre
orientato alla centralità delle risorse umane, nonché in continuo miglioramento
nel produrre in modo sostenibile e circolare”.
Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili, come
la concentrazione e la distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera
e le condizioni meteorologiche
Queste variabili poi, si diversificano a seconda che
ci considerino ambienti outdoor e ambienti indoor”, sottolinea Marianna Conte, ricercatrice Cnr-Isac
Uno studio
multidisciplinare, condotto a maggio 2020, analizza le concentrazioni in
atmosfera di SARS-CoV-2 a Venezia e Lecce, evidenziandone le implicazioni per
la trasmissione airborne.
La ricerca, pubblicata su Environment International, è
stata condotta da Cnr-Isac, Università Ca’ Foscari Venezia, Cnr-Isp e Istituto
zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata
La rapida diffusione del Covid-19, e il suo generare
focolai di differente intensità in diverse regioni dello stesso Paese, hanno
sollevato importanti interrogativi sui meccanismi di trasmissione del virus e
sul ruolo della trasmissione in aria (detta airborne) attraverso le goccioline respiratorie.
Mentre la trasmissione del SARS-CoV-2 per contatto
(diretta o indiretta tramite superfici di contatto) è ampiamente accettata, la
trasmissione airborne è invece
ancora oggetto di dibattito nella comunità scientifica.
Grazie ad uno studio multidisciplinare, condotto dall’Istituto di scienze
dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac) di
Lecce, dall’Università Ca’ Foscari Venezia, dall’Istituto di scienze polari del
Cnr (Cnr-Isp) di Venezia e dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della
Puglia e della Basilicata (Izspb), sono state analizzate le concentrazioni e le
distribuzioni dimensionali delle particelle virali nell’aria esterna raccolte
simultaneamente, durante la pandemia, in Veneto e Puglia nel mese di maggio
2020, tra la fine del lockdown e la ripresa delle attività.
La ricerca, avviata grazie al progetto “AIR-CoV
(Evaluation of the concentration and size distribution of SARS-CoV-2 in air in
outdoor environments) e pubblicata sulla rivista scientifica Environment International, ha
evidenziato una bassa probabilità di trasmissione airbone del contagio
all’esterno se non nelle zone di assembramento.
“Il nostro studio ha preso in esame due città a diverso impatto di diffusione:
Venezia-Mestre e Lecce, collocate in due parti del Paese (nord e sud Italia)
caratterizzate da tassi di diffusione del COVID-19 molto diversi nella prima
fase della pandemia”, spiega Daniele Contini, ricercatore Cnr-Isac.
Durante la prima fase della pandemia, la diffusione
del SARS-CoV-2 è stata eccezionalmente grave nella regione Veneto, con un
massimo di casi attivi (cioè individui infetti) di 10.800 al 16 aprile 2020
(circa il 10% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,9 milioni.
Invece, la regione Puglia ha raggiunto il massimo dei casi attivi il 3 maggio
2020 con 2.955 casi (3% del totale dei casi italiani) su una popolazione di 4,0
milioni di persone.
All’inizio del periodo di misura (13 maggio 2020), le
regioni Veneto e Puglia erano interessate, rispettivamente, da 5.020 e 2.322
casi attivi.
“Il ruolo della trasmissione airborne dipende da diverse variabili quali la concentrazione e la
distribuzione dimensionale delle particelle virali in atmosfera e le condizioni
meteorologiche. Queste variabili poi, si diversificano a seconda che ci
considerino ambienti outdoor e ambienti
indoor”, sottolinea Marianna Conte,
ricercatrice Cnr-Isac.
La potenziale esistenza del virus SARS-CoV-2 nei
campioni di aerosol analizzati è stata determinata raccogliendo il particolato
atmosferico di diverse dimensioni dalla nano-particelle al PM10 e determinando
la presenza del materiale genetico
(RNA) del SARS-CoV-2 con tecniche di
diagnostica di laboratorio avanzate.
Il settore farmaceutico si adatta costantemente alle esigenze del mercato che cambiano frequentemente e rapidamente a causa di fattori come la regolamentazione, la disponibilità di competenze e la trasformazione digitale. Per trasformare queste sfide in opportunità, le aziende si affidano sempre più a soluzioni come la collaborazione uomo-robot e l’uso dell’intelligenza artificiale che permette l’elaborazione costante dei dati
Michael Suer, Director Life Science EMEA, Factory Automation, Mitsubishi Electric Europe B.V., esamina le quattro tendenze tecnologiche fondamentali all’interno del comparto farmaceutica che stanno avendo un impatto in costante crescita sul mercato: robot collaborativi, robot cooperativi, intelligenza artificiale e tecnologia Edge Computing.
Una chiara tendenza nel settore farmaceutico è la crescente domanda di robot collaborativi (cobot) che lavorano accanto agli esseri umani e sono in grado di eseguire operazioni semplici e complesse: dal dosaggio, miscelazione, conteggio, dispensazione all’ispezione e marcatura dei farmaci nei laboratori farmaceutici.
L’economicità e la facilità di programmazione dei cobot permettono il loro utilizzo in tutte le tipologie di aziende indipendentemente dal settore.
Lavorando
a stretto contatto con l’essere umano, i cobot rappresentano un’opportunità:
possono sollevare le persone da compiti monotoni, faticosi e fisicamente
stressanti, aumentando così l’efficienza e la qualità del lavoro umano. Ma non
solo. Possono portare anche maggiore affidabilità, costanza e precisione al
laboratorio farmaceutico, completando compiti ripetitivi con grande accuratezza
e precisione, e aiutando a mantenere gli ambienti sterili dalla contaminazione.
Ad esempio, il cobot MELFA ASSISTA di Mitsubishi Electric ha una superficie
facile da pulire, può eliminare il rischio di lesioni dovute allo
schiacciamento dei bordi e raggiunge anche una ripetibilità di ± 0,03 mm,
vicina a quella dei robot industriali dell’azienda (± 0,02 mm). Ulteriori caratteristiche
distintive sono le loro semplici funzioni di controllo e programmazione, che possono
essere facilmente gestite dagli operatori del settore farmaceutico, e la loro
flessibilità di impiego in molte aree di applicazione del laboratorio.
Robot cooperativi senza barriere
Con
le loro caratteristiche di sicurezza intrinseche, i cobot possono lavorare al
fianco dell’uomo senza presentare alcun pericolo. Al contrario, i robot
industriali hanno tradizionalmente bisogno di essere utilizzati all’interno di
barriere fisiche per garantire la sicurezza dei lavoratori. Tale configurazione
può avere un impatto sulla produttività in quanto, affinché l’operatore possa
avvicinarsi al robot, è necessario effettuare l’arresto. Inoltre sono previste
complesse procedure di riavvio, se le barriere protettive vengono aperte o a
seguito di uno stop di emergenza.
I
produttori stanno cercando di affrontare questa limitazione attraverso l’uso di
sistemi ottici di sicurezza al posto di barriere fisiche. I laser scanner
vengono sempre più utilizzati per monitorare zone definite attorno al robot:
quando un essere umano entra nella zona più esterna, una funzione di riduzione
della velocità rallenta il robot. Se l’operatore invade l’area in cui esiste il
pericolo di contatto diretto con il robot, il robot si ferma immediatamente.
Una volta sgombrata l’area, il robot riprende il funzionamento in modo rapido e
automatico.
Mitsubishi
Electric offre tale soluzione attraverso la sua tecnologia MELFA SafePlus. Ciò
limita la velocità o il movimento del robot quando i sensori di sicurezza vengono
attivati, consentendo agli operatori di lavorare in sicurezza in prossimità di
un robot in movimento.
Intelligenza artificiale
L’intelligenza
artificiale è un ulteriore fattore che potrebbe impattare sul settore
farmaceutico nel campo della robotica, in quanto può fornire la capacità di
reagire in modo appropriato a situazioni impreviste e non programmate.
Ad
oggi, l’ultima serie di robot MELFA FR di Mitsubishi Electric è disponibile con
funzioni AI e può aumentare la resa nelle operazioni di pick & place nel
settore farmaceutico. Ad esempio, nella manipolazione di oggetti delicati, i
sensori di forza vengono utilizzati per il rilevamento del contatto o per
l’inserzione e il montaggio di oggetti. L’intelligenza artificiale può regolare
automaticamente i parametri per il controllo del rilevamento della forza per
ridurre i tempi di set-up, ottimizzando i parametri di controllo, le posizioni
e la velocità.
La
nuova tecnologia AI è offerta anche all’interno della soluzione Edge computing
MELIPC di Mitsubishi Electric che fornisce un gateway tra il livello shop floor
e i sistemi IT, offrendo allo stesso tempo funzioni aggiuntive per il
monitoraggio e l’analisi dei dati di produzione estratti (data mining).
Edge computing
L’obiettivo
è aumentare l’OEE (overall equipment effectiveness) mediante la
digitalizzazione. Con il Data Mining, è possibile agire e gestire dati in tempo
reale e in modo sicuro. In questo caso, l’Edge Computing offre una soluzione
che consente l’analisi interna di dati sensibili, di ricette, lotti e dati di
produzione all’interno della produzione farmaceutica.
L’OEE
è anche influenzato dall’efficienza della linea di produzione stessa, che
dipende dalle condizioni e dal profilo operativo dei dispositivi. Le soluzioni
di edge computing come il MELIPC di Mitsubishi Electric forniscono preziose
informazioni che possono essere estratte, abilitando funzioni di manutenzione
predittiva con una significativa riduzione dei costi di servizio.
Esistono numerose tecnologie che andranno a vantaggio del settore farmaceutico, tali sistemi migliorano la capacità e l’efficienza produttiva, garantendo la massima efficienza in operazioni come la produzione di singoli farmaci. È importante sottolineare che la tecnologia per fornire questi aspetti della produzione farmaceutica è già disponibile e potrebbe essere la più economica da utilizzare.
Mitsubishi Electric
Mitsubishi Electric, con un’esperienza di quasi
100 anni nella produzione, nel marketing e nella commercializzazione di
apparecchiature elettriche ed elettroniche, è riconosciuta quale azienda leader
a livello mondiale. I prodotti e i componenti Mitsubishi Electric trovano
applicazione in molteplici campi: informatica e telecomunicazioni, ricerca
spaziale e comunicazioni satellitari, elettronica di consumo, tecnologia per
applicazioni industriali, energia, trasporti e costruzioni. In linea con lo spirito
del proprio corporate statement “Changes for the Better” e del proprio motto
ambientale “Eco Changes”, Mitsubishi Electric ambisce a essere una primaria
green company a livello globale, capace di arricchire la società attraverso la
propria tecnologia. L’azienda si avvale della collaborazione di oltre 145.000
dipendenti nel mondo e ha raggiunto nell’anno fiscale terminato il 31 marzo
2020 un fatturato complessivo di 4.462,5 miliardi di Yen (40,9 miliardi di
USS*)
Nell’area EMEA è presente dal 1969 con venti filiali: Belgio, Repubblica Ceca, Francia,
Germania, Olanda, Italia, Irlanda, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania,
Russia, Slovacchia, Spagna, Sud Africa, Svezia, Regno Unito, Turchia, Ungheria
e UAE (Emirati Arabi Uniti). La filiale italiana, costituita nel 1985, opera
con tre divisioni commerciali: Climatizzazione – climatizzazione
per ambienti residenziali, commerciali e industriali, riscaldamento,
deumidificazione e trattamento aria; Automazione Industriale e Meccatronica – apparecchi e
sistemi per l’automazione industriale; Automotive – sistemi e componenti per il
controllo dei dispositivi di auto e moto veicoli. Viene inoltre supportata la
vendita per i Semiconduttori – componentistica
elettronica; Visual Information System – sistemi di visione
multimediale.