G-Gravity un nuovo spazio per lavorare a Milano

G-Gravity è un nuovo spazio per lavorare in condivisione, a Milano, ubicato tra i quartieri Dergano e Isola

Vuoi far parte di una comunità innovativa a due passi dal centro di Milano?

Che si tratti solo di te e del tuo laptop o di tutto il tuo team, in G-Gravity troverai una soluzione e uno spazio adatto alle tue esigenze.

Abbiamo diverse opzioni di spazi condivisi e uffici disponibili che includono comunque tutte le spese di gestione di cui non dovrai mai più preoccuparti (connessione, pulizie, servizi di segreteria, …).

Ti offriamo, inoltre, la possibilità di interagire con una comunità creativa e di professionisti in ambito innovazione. 

Saremo sempre felici di mostrarti la nostra sede progettata da Gio’ Ponti e rinnovata con cura, discutere quale tipo di abbonamento sarebbe più adatto a te e spiegarti a quali competenze potrai facilmente accedere attraverso i mentors ed i partner già presenti nella community.

Lo spazio, moderno e raccolto affaccia su un giardino che lo isola dalle vie del quartiere Dergano, a pochi metri dalla metropolitana.

Lo spazio G-Gravity è una realtà co-working di dimensioni contenute che privilegia la tranquillità e in cui desideriamo valorizzare le relazioni di chi ci ha scelto offrendo accesso  a servizi essenziali accurati, occasioni di mentorship per le realtà più giovani e di consulenza di qualità per le realtà aziendali presenti, senza dimenticare occasioni di svago.

Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un progresso, lavorare insieme un successo.”

(Henry Ford)

Nel deserto dello Utah, gli astronauti simulano le condizioni di vita su Marte

Per due settimane, un equipaggio internazionale porterà avanti un ricco programma di test tecnologici e scientifici simulando le condizioni di vita su Marte

MARS PLANET – SMOPS – Spedizione nel Deserto dello UTAH

Ci vivono poco più di 200 persone. Siamo ad Hanksville, nello Utah, in mezzo al deserto, microscopico punto sulla mappa degli Stati Uniti diventato però famoso: ultimo avamposto prima di arrivare su Marte. Ed è tutto vero. Infatti in mezzo a quella terra arida da milioni di anni è stata creata la Mars Desert Research Station (MDRS) gestita dalla Mars Institute, SITI Institute con il finanziamento della NASA. Si tratta di una struttura che porta avanti, sulla Terra, la ricerca per perseguire la tecnologia, la scienza, le operazioni necessarie per l’esplorazione umana dello spazio.

Lì ci passano studiosi, scienziati, studenti con la maggior parte degli equipaggi, chiamati proprio così, che si addestrano per operazioni con esseri umani da svolgere su Marte. Secondo di quattro siti previsti come parte del MARS, Mars Analogue Research Station, con condizioni simili a quelle che si potrebbero trovare sul Pianeta Rosso. E visto che diversi scienziati sono convinti che il futuro, la sopravvivenza del genere umano dipenda dalla capacità di arrivare e colonizzare altri pianeti, non c’è posto migliore di MDRS per prepararsi. E adesso sarà una missione italiana a provare la dura vita su Marte dal 10 al 23 aprile prossimi.

Si chiama Smops la missione (acronimo di Space Medicine Operations) ed è stata creata da Mars Planet che poi non è altro che il canale italiano della Mars Society che ha la propria sede a Curno, piccolo comune in provincia di Bergamo. A partire per lo spazio, metaforicamente ma poi mica tanto, sarà un equipaggio composto da sei astronauti, quattro italiani un francese e un canadese. Chi sono i marziani? Paolo Guardabasso e Simone Partenostro, ingegneri aerospaziali, Luca Rossettini, Ceo di D-Orbit (gruppo il cui valore è stimato in 1,4 miliardi di dollari, definito dal suo creatore l’Amazon dello spazio, trasporta infatti satelliti nello spazio), Vittorio Netti, architetto spaziale, Nadia Maarouf, medico e Benjamin Pothier, ricercatore spaziale.

Durante le due settimane di missione verranno condotti diversi esperimenti, test medici, fisiologici, saranno anche studiati i livelli di stress raggiunti dagli astronauti durante i loro viaggi interspaziali, per comprenderne meglio tutti gli aspetti. Poi sarà sperimentata anche una nuova tuta spaziale progettata da Mars Planet in partnership con aziende italiane leader nel settore tessile, pensata per agevolare i movimenti al di fuori delle stazioni base. Ma non solo, ci sono sensori, tanti, in grado di fornire in tempo reale le condizioni di salute dell’astronauta. La missione è sponsorizzata dall’Agenzia Spaziale Italiana in un ambito che prevede una vasta serie di attività che fanno parte di un ampio programma di ricerca e sperimentazione. L’obiettivo finale è quello di far nascere Mars City, hub dedicato e destinato allo sviluppo delle tecnologie di tutto lo spazio. Un progetto di vastissime dimensioni che porterà Marte sempre più vicino alla Terra. E non c’è da meravigliarsi, perchè il futuro fa già parte del presente.

Paolo Guardabasso, catanese, è un ingegnere aerospaziale laureato al Politecnico di Torino, e da alcuni anni fa parte degli equipaggi, internazionali, di missioni che simulano escursioni su Marte. Nel deserto dello Utah, una delle zone del nostro pianeta che maggiormente si prestano a simulare l’ambiente marziano per periodi di alcuni giorni in isolamento, con attività extraveicolari muniti di scafandro, casco e zaino di sopravvivenza.

La nuova missione di completa simulazione di uno sbarco su Marte è prevista dal 10 al 23 aprile prossimi, e l’equipaggio internazionale di sei “martenauti” è stato selezionato da Mars Planet, la sezione italiana della Mars Society. E’ la più importante organizzazione internazionale che si occupa dei progetti futuri di missioni a Marte, fondata e guidata da Robert Zubrin (che molti definiscono il nuovo Werner von Braun) e in Italia ha sede a Curno (Bergamo) alla guida di Antonio Del Mastro.

La base MDRS dello Utah, prove di missione marziana

La prima missione di Paolo, nel maggio 2019, si è svolta alla Mars Desert Research Station (Mdrs), la stazione fondata e gestita dalla Mars Society. Paolo è stato infatti selezionato dalla Mars Society Peru, per partecipare alla terza missione “Latino-Americana (Latam)” in visita alla Mdrs. Per due settimane, l’equipaggio internazionale, composta da 4 europei e 3 Latino-americani, ha portato avanti un ricco programma di test tecnologici e scientifici.

La stazione “marziana” Mdrs comprende sei diverse strutture.

L’habitat (chiamato Hab) è un edificio cilindrico a due piani con un diametro di 8 metri. Il piano superiore ospita gli alloggi dell’equipaggio (fino a 7 membri) e un’area dove cucinare, mangiare, lavorare e rilassarsi. Il piano inferiore è dedicato alle riunioni pre e post attività extraveicolari. Vi si trova una stanza con le radio e le tute per le attività esterne, atte a simulare vere tute spaziali per missioni su Marte, un “Eva airlock” verso l’esterno, un bagno, e un altro airlock, più piccolo. Da questo si può accedere ai tunnel che portano alle altre parti della stazione: il RAMM (Repair and Maintenance Module), dedicato agli esperimenti tecnologici e alle riparazioni, la Science Dome, un laboratorio per esperimenti di microbiologia e geologia, la serra (chiamata “GreenHab”) e l’osservatorio solare Musk, che prende il nome da un importante sponsor di MDRS. Un altro osservatorio, totalmente robotico e separato dal sistema di tunnel, viene telecomandato.

I risultati tecnologici

«Insieme al collega Vittorio Netti, ora dottorando presso il Politecnico di Bari, abbiamo sperimentato alcuni droni in ambiente marziano, che faremo volare nella missione di aprile – dice Guardabasso – Il principale obiettivo era di testare questo tipo di velivoli autonomi per valutarne l’utilità nel contesto di una missione umana su Marte. Abbiamo usato un quadricottero per effettuare sopralluoghi della stazione ad una distanza ravvicinata, e un drone ad ala fissa, in grado di volare a un centinaio di metri di altezza per fotografare il suolo». Questi risultati saranno fondamentali per il supporto alle stazioni umane e all’esplorazione di Marte. Considerato che l’atmosfera marziana è sostanzialmente diversa da quella Terrestre, la dinamica del volo non è stata un obiettivo primario dell’esperimento. Un altro esperimento tecnologico, svolto da Zoe Townsend, è stato portato avanti: un rover ha testato il suo sistema di mobilità e di navigazione nel terreno accidentato disponibile nei dintorni della stazione, simile sotto molti aspetti al terreno su Marte.

Come su Marte

«Per muoverci sulla superficie desertica, avevamo dei rover elettrici biposto, per percorrere diversi chilometri, a seconda dell’obiettivo dell’attività extraveicolare. Ad esempio, Vittorio Netti ed io ci siamo allontanati per far volare il nostro drone ad ala fissa X5 in una zona sicura e priva di ostacoli. Le attività all’esterno prevedevano un numero di quattro partecipanti per due ore al massimo, mentre il resto dell’equipaggio cominciava a reidratare l’occorrente per il pranzo. I pasti erano spesso a base di riso, condito con prodotti disidratati con scadenze decennali! Qualche volta avevamo anche la fortuna di usare dei prodotti freschi, soprattutto erbe aromatiche, provenienti dalla serra della stazione.

I risultati scientifici

«Abbiamo testato diverse culture batteriche, per valutare la loro resistenza all’ambiente ostile e per testarne il ruolo nella coltivazione di piante – spiega il giovane ingegnere italiano – L’obiettivo è trovare e selezionare il giusto tipo di batteri da usare per arricchire la regolite marziana. Da un punto di vista medico, un membro dell’equipaggio ha misurato i suoi parametri vitali durante tutta la missione, generando anche degli scenari in cui veniva messo sotto sforzo durante le attività extraveicolari. Sono state effettuate molte osservazioni del cielo notturno, approfittando del quasi totalmente assente inquinamento luminoso. Tra i soggetti ripresi ci sono stati le nebulose Pellicano e Velo. Inoltre sono anche state effettuate delle osservazioni solari durante il giorno. Io ho personalmente diretto un esperimento di fattori umani, per osservare le dinamiche di gruppo in situazioni di isolamento».

Smops alle porte

La prossima missione di Guardabasso e dei suoi colleghi martenauti è chiamata “Smops” (Space Medicine Operations), quasi del tutto dedicata ad esperimenti biomedici, come mostra lo stemma della missione. Questa missione è organizzata da Paolo e il collega Vittorio in collaborazione con Mars Planet, branca italiana della Mars Society, presieduta da Antonio Del Mastro e con sede a Curno (Bergamo). Paolo e Vittorio faranno parte di una nuova spedizione con un team internazionale di ricercatori che comprende la canadese Nadia Maarouf (ricercatrice in campo biomedico), il francese Benjamin Pothier (documentarista e ricercatore in ambito di fattori umani), e gli italiani Simone Paternostro (ingegnere con esperienze in Esa), e Luca Rossettini (che dirige la società D-Orbit).

«Come durata e criteri di permanenza, questa missione ricalca la precedente – ci dice Guardabasso – e anche il sito è sempre quello della MDRS, situata nello Utah». Verrà anche sperimentata una nuova tuta per uso spaziale, progettata da Mars Planet in partnership con aziende italiane leader nel settore tessile.

I progetti futuri

Per quanto riguarda l’utilizzo di velivoli autonomi per l’esplorazione di Marte, «la sperimentazione continua, e con Vittorio Netti abbiamo lavorato ad un esperimento per la missione Amadee-20, organizzata dall’Austrian Space Forum nell’Ottobre 2021». In vista di Smops, in queste settimane si sta mettendo a punto il programma dei numerosi esperimenti, questa volta meno tecnologici e più scientifici, incentrati sulla misurazione dei parametri vitali e sulla salute dei futuri astronauti. Per Paolo Guardabasso si presenta un nuovo periodo di due settimane da trascorrere nella sua stanzetta di 4 metri per 2: «Ma è un esperienza straordinaria – dice – Mi sento già un po’ astronauta. Ho appena compiuto 30 anni e penso di poter rientrare in una prossima selezione, chissà. Nel frattempo sono già entusiasta di queste missioni terrestri. Un giorno, quando avverranno i primi sbarchi su Marte, gli astronauti avranno fatto tesoro anche delle nostre esperienze».

Space economy: l’Italia al quinto posto nel Mondo

L’Italia è il quinto Paese al mondo, secondo in Europa, per investimenti messi in campo in relazione al Pil nella space economy

È quanto è emerso in occasione della presentazione dei dati dell’Osservatorio Space Economy della School of Management del Politecnico di Milano.

Il report è relativo al 2019, tuttavia, durante l’evento sono stati annunciati i dati relativi anche al 2020, anno in cui l’Italia si è piazzata al quinto posto, dopo Stati Uniti, Russia, Francia, e Cina-Giappone (a pari merito al quarto posto).  Quindi superando la Germania. Inoltre, con 589,9 milioni di euro l’Italia si attesta come terzo contribuente dell’European Space Agency (Esa) dopo Francia (1065,8 milioni) e Germania (968,6).

I fondi previsti nell’ambito del Pnrr contribuiranno a dare un’ulteriore spinta al mercato: lo stanziamento diretto allo Spazio è pari a 1,49 miliardi di euro e riguarda le linee di intervento: SatCom, Osservazione della Terra, Space factory, Accesso allo Spazio, In-orbit economy e Downstream.

“L’Europa è nella fase in cui l’economia dello spazio può rafforzare il ruolo Ue nella definizione del prossimo decennio per un’economia giusta e sostenibile e la stessa Unione può ambire a un ruolo leader divento il facilitatore effettivo della cooperazione tra gli Stati e con i partner definendo un quadro di riferimento che potrebbe andare anche oltre lo spazio”, ha affermato il Ministro per l’Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale, Vittorio Colao, nell’illustrare i programmi dell’Italia che riguardano l’accesso allo spazio, la nuova costellazione di osservazione, l’economia in orbita, l’esplorazione lunare. “Per avere successo abbiamo bisogno di rafforzare la visione collaborativa tra i partner”.

“La Space Economy assumerà un ruolo strategico sempre più rilevante per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e transizione dell’agenda europea e italiana – evidenziano Angelo Cavallo e Antonio Ghezzi, Direttori dell’Osservatorio Space Economy -.

In questa prospettiva, per l’Italia il 2021 ha rappresentato una tappa fondamentale in cui il settore ha saputo accreditarsi come uno dei fattori chiave per la competitività internazionale e lo sviluppo sociale del Paese.

La sfida futura sarà far corrispondere i risultati alle aspettative suscitate”.

Dalle aziende dell’industria spaziale (il cosiddetto upstream), agli IT provider e system integrator (downstream) fino alle imprese utenti finali, è convinzione diffusa che le tecnologie satellitari in combinazione con le tecnologie digitali più avanzate siano oggi un driver fondamentale per l’innovazione e la sostenibilità nei settori più diversi.

In questa prospettiva saranno mobilizzati nei prossimi anni ingenti investimenti pubblici e privati, evidenzia l’Osservatorio del Polimi.

Space economy e sostenibilità

Le tecnologie satellitari sono considerate tra i driver rilevanti per raggiungere i 17 Sustainable Development Goals (Sdgs) – lo strumento adottato a livello globale per valutare la sostenibilità delle attività economiche e sociali. Ad esempio – spiega l’Osservatorio del Polimi – permettono di realizzare mappe di copertura del suolo per sviluppare modelli climatici o immagini multispettrali e radar per costruire modelli predittivi sulla deforestazione. O ancora di creare mappe di suscettibilità sulle zone a rischio frane, di monitorare i livelli di inquinamento o le dune nel deserto.

L’Osservatorio Space Economy ha studiato l’adozione di applicazioni satellitari per la sostenibilità, analizzando in particolare il contributo dell’Osservazione della Terra, della Navigazione e della Comunicazione ai diversi Sdg. Ne emerge come l’Osservazione della Terra può avere un impatto diretto su 10 Sdgs e indiretto su altri 6, la Navigazione un impatto diretto su 6 Sdgs e indiretto su altri 9, la Comunicazione un impatto diretto su 4 Sdgs e indiretto su altri 11. Ad esempio, l’Osservazione della Terra e la Navigazione possono avere un ruolo concreto nell’ottimizzare il suolo agricolo avendo un impatto sull’SDG 2 di “Zero Hunger”. Mentre i sistemi di monitoraggio remoto degli impianti possono influire positivamente sull’Sdg 7 di “Affordable and Clean Energy” che si prefigge di garantire l’accesso all’Energia.

La space economy internazionale

Il mercato della Space Economy vale 371 miliardi di dollari di ricavi a livello globale, di cui il 73% riconducibile all’industria satellitare (che include servizi satellitari di telecomunicazione, navigazione ed osservazione della Terra, prodotti per l’equipaggiamento a Terra come sensori, antenne o Gps).

“Il 2021 è stato un anno importante per la crescita dell’attività spaziale, testimoniata dall’aumento del numero di satelliti in orbita, dall’accelerazione nei viaggi spaziali con civili realizzate da aziende come SpaceX, Blue Origin, Virgin Galactic, ma soprattutto dalla consapevolezza diffusa sulla rilevanza strategica della Space Economy – sottolineano Paolo Trucco e Franco Bernelli Zazzera, Responsabili scientifici dell’Osservatorio Space Economy –.

Oggi la Space Economy è sempre più centrale nelle dinamiche di innovazione cross-settoriale delle attività economiche, nel dibattito pubblico e nelle politiche industriali di molti Paesi. I prossimi anni saranno fondamentali per un pieno sviluppo dei servizi e l’ampliamento delle opportunità, con il Pnrr e il New Deal Europeo a trainare innovazione e nuove infrastrutture nel nostro Paese”.

Le stime 2021 sono rimaste costanti rispetto all’anno precedente (il cui valore era stimato a 366 miliardi di dollari). Nel 2021 si contano 4838 satelliti in orbita, con un aumento in particolare dei piccoli satelliti (sotto i 600 kg): solo nel 2020 ne sono stati lanciati il 40% (pari a 1202 satelliti) di quelli lanciati negli ultimi 10 anni.

Ammontano a 11,5 i miliardi di dollari investiti per lo Spazio dall’Unione Europea, che si piazza al secondo posto dopo gli Stati Uniti. L’abbattimento dei costi e regolamentazioni meno stringenti hanno favorito la nascita di startup in particolare lo scorso anno: le startup hanno raccolto 12,3 miliardi di euro di finanziamenti.

Il Polimi stima che per i programmi spaziali la somma dei budget governativi a livello globale oscilli fra 86,9 miliardi e 100,7 miliardi di dollari. Per entità di spesa, nell’anno fiscale 2021, appena dopo gli Stati Uniti (ampiamente al primo posto nel mondo con gli 43,01 miliardi di dollari), viene l’Europa con 11,48 miliardi di dollari, seguita da Cina, Russia, Giappone e India: grazie a Copernicus, Egnos e Galileo, l’Ue possiede sistemi spaziali di livello mondiale, con più di 30 satelliti in orbita (e l’intenzione di raddoppiarli nei prossimi 10-15 anni) e una previsione di spesa di 14,8 miliardi di euro nel periodo 2021-2027, la somma più alta mai stanziata prima.

Sono 88 i paesi nel mondo che investono in programmi spaziali, di cui 14 hanno capacità di lancio; l’Italia è tra i 9 dotati di un’Agenzia spaziale (Asi) con un budget di oltre 1 miliardo di dollari all’anno. Significativi anche gli investimenti privati nelle startup della Space Economy.

Nel 2021, si stimano complessivamente 12,3 miliardi di euro di finanziamenti a livello globale, una cifra rilevante con un sempre maggiore coinvolgimento del mercato azionario: 606 imprese nel 2021 si sono quotate tramite il meccanismo di Spac (Special Purpose Acquisition Company), contro una sola nel 2020.

Abitare nello Spazio, Luna e Marte, è il futuro

Gli Ambasciatori del Design italiano ci stanno preparando le case per abitare nello spazio, Luna e Marte; un compito difficile e che richiede tante diverse capacità, competenze e persone che lavorano tutte in una direzione

Valentina Sumini è diventata «Ambasciatore del Design italiano per il 2021», assieme a Flavio Manzoni, senior vice president del Design Ferrari, nel corso di una interessante conferenza tenuta dalla Ambasciata italiana a Washington nel luglio scorso.

Valentina Sumini Ha due lauree prese in tempo record, architettura e ingegneria, un dottorato al MediaLab del Mit di Boston e ora è attiva anche al Politecnico di Milano come docente.

La gara tra le nazioni

Valentina Sumini è ancora molto distante dagli «anta», nonostante il suo curriculum. E il suo messaggio, di cui è convintissima, è che stiamo per diventare una specie multi-planetaria, destinata a espandersi e abitare nello spazio: Luna e Marte per ora, poi si vedrà. Non resteremo sempre e solo sulla Terra, e lei, con altri, ci sta preparando le case per abitare nello spazio, un compito difficile e che richiede tante diverse capacità, competenze e persone che lavorano tutte in una direzione. La tesi è suggestiva e nel suo intervento alla conferenza di Washington l’ha ripetuta a chiare lettere: l’evoluzione della nostra specie ci porta a conquistare non solo altri continenti, ma anche altri pianeti vicini, ci spinge a intraprendere viaggi. Visto che siamo in pieno centenario dantesco, si potrebbe dire una riedizione in chiave 4.0 del famoso «fatti non foste a viver come bruti». D’altra parte, tornare sulla Luna e poi arrivare a Marte, non per una toccata e fuga ma per restarci e costruirci insediamenti stabili di umani, è oramai un progetto a cui lavorano tanti Stati, con le loro Agenzie Spaziali, con gli Usa e suoi alleati da una parte e dall’altra la Cina. La Russia, come fa da mesi oramai, è in ancora in bilico fra i due e forse aspetta la migliore squadra o il suo maggior tornaconto.

La gara tra i privati

Ma non c’è solo questo scontro o gara fra Stati, perché sul pianeta rosso ci vuole arrivare per primo il funambolico Elon Musk che sarà anche un personaggio strano ma di capacità ne ha da vendere e orienta tutti i suoi business verso questo obiettivo: fare cassa per pagarsi il Progetto Marte.

La rete di migliaia di microsatelliti per avere internet dallo spazio è solo l’ultima delle sue trovate geniali ed efficienti che riempiranno i suoi conti in banca.

Il punto fondamentale da cui partire, ci dice la Sumini, è considerare bene la differenza fra l’ambiente in cui viviamo e ci siamo evoluti e gli altri due che consideriamo.

Qui da noi la gravità è determinante, addirittura il nostro corpo è modellato da millenni e millenni di azione della gravità sulle nostre ossa, sul sistema venoso e dell’equilibrio.

Se parliamo invece di Luna e Marte scendiamo a 1/6 per il nostro satellite e a 1/3 circa per il Pianeta Rosso. Una persona di 60 chili ne pesa solo 10 sulla Luna e circa 20 su Marte, per avere un’idea.

Il problema, quindi, non è l’azione verticale costante della gravità, che in pratica spinge verso il basso anche gli edifici, ma si sposta verso i problemi dati dalla differenza di temperatura e pressione atmosferica e dalla presenza o meno di radiazione nociva all’essere umano.

La dura vita degli architetti… di spazi

Anzi è stato proprio questo il punto da cui Valentina Sumini è partita, dato che, ai tempi, peraltro molto vicini, delle sue lauree ha studiato l’azione del terremoto negli edifici in seguito ai fatti dell’Aquila. Niente gravità come fattore fondamentale, pressione zero sulla Luna e bassa su Marte, la cui atmosfera è molto rarefatta rispetto alla nostra, con valori anche 150 volte minori. Gli sbalzi di temperatura sono di oltre cento gradi nell’alternarsi del giorno e notte e micrometeoriti arrivano indisturbate, e pericolose, al suolo: un ulteriore problema.

Il passaggio verso lo spazio esterno studiato dagli architetti spaziali, che di fatto anche in questa nuova veste sono progettisti di spazi vedono un futuro a più stadi, tre livelli diversi. Il primo è lo spazio molto vicino a noi, poche centinaia di chilometri, quasi una passeggiata.

È lì, a 400 chilometri dal suolo, che orbita la Stazione spaziale internazionale, Iss, il più grande manufatto mai progettato e costruito nello spazio, l’unica vera grande architettura spaziale esistente.

Andrà in pensione forse presto e Valentina Sumini partecipa a un progetto per la realizzazione di un vero e proprio albergo che si potrebbe costruire sullo scheletro di alcune parti della Stazione stessa, mantenendo per prima cosa la bellissima finestra da cui gli astronauti, nei momenti di relax, guardano quello che il primo di loro, Yuri Gagarin, 60 anni fa chiamò il «pianeta blu».

Ricordiamo che la stupenda struttura finestrata della Stazione, come peraltro il 50% e oltre della superfice calpestabile della Iss, è di costruzione italiana. Attorno a questo nucleo centrale, tipo Hotel Bellavista, sono state progettate 12 camere per altrettanti ospiti nel progetto Marina, che ha ricevuto l’encomio di Nasa.

Le stanze, vista la ridottissima gravità in quella situazione, sono realizzate in tessuto super resistente, ma anche leggerissimo che può arrivare in orbita debitamente impacchettato, ripiegandolo più volte su sé stesso.

“L’hotel” sulla Luna

Dodici moduli gonfiabili – sarebbe meglio dire espandibili – che si dispongono come altrettanti petali di fiori. È un primo passo verso anche una relativa democratizzazione di accesso allo spazio, l’albergo spaziale potrebbe essere pronto relativamente presto, ma su Luna e Marte è un’altra storia.

Come secondo più impegnativo passaggio troviamo la Luna, e lì è stata scelta una regione verso il polo sud, dove c’è più acqua, più energia dal Sole e si può sempre vedere la Terra.

Uno dei problemi per gli insediamenti lunari, rispetto a quelli marziani, è infatti che c’è ben poca acqua sul nostro satellite, ma soprattutto è presente in regioni molto limitate. Ecco, quindi, la progettazione di un villaggio vero e proprio formato da relativamente piccole abitazioni, ognuna per quattro ospiti, realizzate anche con materiali locali, in particolare la regolite lunare che si presta bene a essere lavorata in loco.

Progetto a cui ha dato il suo appoggio anche l’Agenzia spaziale europea.