Il primo dottorato in intelligenza artificiale in Italia

Con l’anno accademico 2021-2022 partirà in Italia il primo dottorato in intelligenza artificiale.

Firmata la convenzione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), l’Università Sapienza di Roma, il Politecnico di Torino, l’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Università Federico II di Napoli e l’Università di Pisa.

Lo rendono noto il Ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) e il Cnr, presso il quale il Mur ha costituito un comitato per elaborare una strategia unitaria e realizzare un coordinamento nazionale, finanziando con 4 milioni di euro il Cnr e con 3,85 milioni di euro l’Università di Pisa.

Sono già disponibili 194 borse di studio, 97 cofinanziate dal Cnr e 97 cofinanziate dal Mur attraverso l’Università di Pisa.
L’investimento complessivo, con il co-finanziamento degli atenei, supererà i 15 milioni di euro.
“Si tratta di una grande opportunità per il nostro Paese. Con il dottorato in intelligenza artificiale l’Italia sarà più competitiva sulle tecnologie avanzate”, ha affermato il titolare del Mur, Gaetano Manfredi.

Complessivamente, il mercato dell’Intelligenza artificiale in Italia è agli albori, con una spesa in tecnologie nel settore di poche centinaia di milioni di euro l’anno. Lo studio McKinsey individua le possibilità di maggior sviluppo, e ritorno economico, in settori industriali strategici per il Paese come il manifatturiero, la robotica industriale e di servizio, l’agroalimentare.

“Si gioca qui una delle grandi sfide del nostro futuro”, ha detto il rettore della Sapienza, Eugenio Gaudio, “e per questo dobbiamo investire nella formazione e nella specializzazione dei giovani a partire da quei settori, come la robotica e l’Intelligenza artificiale, che costituiscono un’eccellenza del nostro Paese.

L’avvio di un dottorato nazionale potrà rappresentare il trampolino di lancio per progetti di grande impatto scientifico”. L’Università La Sapienza, sul tema, dal 2009 offre un corso in lingua inglese.

Uno studio sui lavori scientifici nel settore dell’Ai, basato su dati Scopus di Elsevier, posiziona l’Italia al decimo posto a livello mondiale come numero di pubblicazioni. Il loro impatto scientifico, però, ci colloca al quinto posto. “Il nostro Paese può sicuramente contare su un grande punto di forza: la qualità della sua ricerca scientifica”, ha detto il presidente del Cnr, Massimo Inguscio. “Dobbiamo ripartire dalla ricerca, digitale e intelligenza artificiale sono settori cruciali”.

L’industria chimica in Italia, è essenziale e contiene le perdite

industria chimica italiana

Nel 2020 l’industria chimica in Italia non ha subito direttamente gli effetti del lockdown in quanto, salvo limitate eccezioni, è stata riconosciuta quale attività essenziale


Ha, infatti, garantito con continuità la fornitura di materiali e beni fondamentali per affrontare l’emergenza sanitaria: gas medicinali, reagenti e principi attivi farmaceutici, disinfettanti e prodotti per l’igiene personale e degli ambienti, tessuti‐non‐tessuti per le mascherine e i dispositivi di protezione individuale.

L’industria chimica in Italia è previsto che chiuda il 2020 con un calo della produzione del 10% circa, in presenza di rischi al ribasso nel caso di una seconda ondata di contagi.  Non essendo soggetta a lockdown, gli spazi di recupero saranno dettati dalla domanda, attesa in lento rialzo.


L’EU Recovery Fund rappresenta un’importante opportunità per supportare la ripresa e il processo di trasformazione ambientale in Italia, mobilitando ingenti risorse pubbliche accanto a quelle private.


L’industria chimica dovrebbe vedere riconosciuto il suo ruolo strategico in virtù della natura essenziale dei suoi prodotti, delle competenze inerenti la trasformazione e la gestione della materia e della sua capacità di sviluppo tecnologico indispensabile per tutte le filiere industriali.


Tantissimi sono, infatti, gli ambiti che vedono la chimica in prima linea: basti pensare alle biotecnologie industriali, nelle quali l’Italia vanta una posizione di avanguardia, all’impegno nella progettazione sostenibile e circolare dei prodotti e allo sviluppo di tecnologie innovative per l’efficienza energetica degli edifici, per una mobilità ecosostenibile, per il riciclo chimico, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2 e per l’idrogeno pulito.

Fonte: Federchimica

Riciclo chimico nell’industria delle materie plastiche

riciclo chimico by BASF

Sull’onda della nuova Plastics Strategy varata dalla Commissione europea, dopo anni di quiescenza, si ricomincia a parlare di riciclo chimico

Appare infatti ormai assodato che il riciclo meccanico, da solo, non è sufficiente per raggiungere gli ambiziosi obiettivi posti da Bruxelles all’industria delle materie plastiche.

Riportando i rifiuti plastici al loro stato originario, è possibile riutilizzare in ottica circolare anche i rifiuti eterogenei, multimateriale o contenenti additivi che ne rendono poco conveniente il riciclo per via meccanica. 

Che si tratti di depolimerizzazione, pirolisi o gassificazione, si possono ottenere materie prime rigenerate praticamente da qualsiasi ammasso di rifiuto plastico, e soprattutto senza degradazione delle caratteristiche fisico meccaniche del manufatto finale che – entro certi limiti – può essere anche conforme al contatto con gli alimenti.

BASF e il “ChemCycling”

A credere nel riciclo chimico, tanto da avviare partnership a valle con importanti produttori di imballaggi e componenti auto, è il gruppo tedesco BASF, che ha lanciato il programma ChemCycling.

Si tratta di un processo basato sulla pirolisi di rifiuti plastici eterogenei, difficili da trattare per via meccanica (compresi espansi come l’EPS), trasformati in oli sintetici da aggiungere in steam cracking per ottenere nuove materie prime, come etilene o propilene, alternative a quelle fossili, con cui produrre nuovi polimeri senza scadimento delle proprietà intrinseche.

A questo scopo il gruppo tedesco ha stretto un’alleanza con Quantafuel, titolare di un processo integrato per la pirolisi di rifiuti plastici e la successiva purificazione degli oli ottenuti. Accordo sancito da un investimento di 20 milioni di euro, che BASF ha iniettato nella società norvegese per accelerare lo sviluppo industriale del processo, anche in vista di future attività di licensing. Quantafuel ha in programma di avviare entro la fine di quest’anno, a Skive (Danimarca), un impianto con capacità di 16.000 tonnellate annue.

Attraverso il processo di pirolisi ChemCycling, BASF trasformerà rifiuti plastici eterogenei difficili da trattare per via meccanica in oli sintetici per ottenere nuove materie prime via steam cracking.

Come parte dell’accordo, BASF avrà il diritto di prelazione su tutto l’olio di pirolisi e gli idrocarburi purificati prodotti per un periodo minimo di quattro anni dall’avvio dell’unità.

Le materie prime così ottenute saranno utilizzate nel polo chimico di Ludwigshafen, dove il gruppo ha sede ha sede, per ottenere nuove materie plastiche – contraddistinte dal suffisso Ccycled – destinate ad applicazioni realizzate in collaborazione con selezionati partner industriali.

Per passare dagli impianti pilota all’industrializzazione del processo, oltre agli aspetti tecnologici ed economici, vanno chiarite anche le questioni normative, come sottolinea Klaus Ries, responsabile Styrenic Foams di BASF: «Il riciclo chimico e il bilancio di massa devono essere inseriti nel calcolo degli obiettivi fissati dalla Commissione Europea e nelle metodologie di calcolo dei tassi di riciclo il prima possibile, in quanto è l’unico modo per incrementare, sensibilmente e in modo permanente, i volumi di riciclo senza sacrificare la qualità».

Riflettori puntati sul polistirene

Anche il gruppo britannico Ineos è impegnato in diversi progetti di riciclo chimico, con particolare attenzione al trattamento di rifiuti stirenici, dove ha attivato partnership sia con altri produttori, sia con università e centri di ricerca.
Nell’ambito del progetto ResolVe, ad esempio, collabora da due anni con Neue Materialien e l’Università di Aachen al riciclo chimico di rifiuti a base di polistirene. I primi risultati hanno confermato che è possibile produrre nuovo polimero con la stessa qualità di quello vergine, partendo da stirene ricavato da depolimerizzazione chimica. Ottenuto questo risultato, i ricercatori si sono messi al lavoro per ottimizzare la resa del processo e mitigare l’effetto dei contaminanti, compresi altri polimeri presenti nei rifiuti di polistirene, in particolar modo il PET (mentre sono tollerate percentuali poliolefine fino al 10%).

Secondo Norbert Niessner, responsabile R&D/Proprietà Intellettuale di Ineos Styrolution, si può tranquillamente affermare che il polistirene può essere riciclato. «Anche grazie ai recenti progressi nelle tecnologie di selezione dei rifiuti post-consumo, sono convinto che non vi è più alcun motivo per non farlo» afferma.

Nell’ambito della piattaforma Styrenics Circular SolutionsTrinseo, Ineos Styrolution e Agilyx hanno recentemente validato la tecnologia per la depolimerizzazione di rifiuti da imballaggio di origine stirenica e ora puntano a realizzare in Europa un impianto su scala industriale con una capacità di trattamento fino a 50 tonnellate al giorno, anche se non sono stati ancora forniti dettagli su località e tempistica del progetto.
Ineos Styrolution supporta anche il progetto Plastics2Chemicals di Indaver, società del gruppo Katoen Natie specializzata nella gestione e trattamento dei rifiuti. L’obiettivo è avviare nel Porto di Anversa un impianto dimostrativo per la depolimerizzazione di rifiuti plastici a base di polistirene e poliolefine (previa separazione), con capacità di 15.000 tonnellate annue, che potrebbe entrare in funzione nella prima metà del 2021. Ineos Styrolution potrebbe utilizzare lo stirene così ottenuto all’interno di un suo impianto poco distante.

Infine, il gruppo sta lavorando con la canadese GreenMantra nella sintesi di stirene monomero ottenuto dalla depolimerizzazione termocatalitica di rifiuti post-consumo e sfridi di polistirene. Da questo processo si ottengono due flussi distinti: il principale è polistirene a basso peso molecolare, che ha possibili impieghi negli additivi per inchiostri e coating, mentre quello secondario è costituito da stirene monomero, dal quale ottenere nuovamente polistirene.

Tacoil da rifiuti plastici

Riciclare in closed-loop rifiuti plastici da imballaggio difficili o impossibili da trattare per via meccanica è anche l’obiettivo del progetto avviato da Sabic, Unilever, Vinventions e Walki Group.

La tecnologia individuata dai partner è la conversione termochimica in assenza di ossigeno (TAC, Thermal Anaerobic Conversion) sviluppata dalla britannica Plastic Energy, dalla quale si ottiene Tacoil, un olio sintetico che Sabic immetterà nell’impianto di Geelen (Olanda) per ottenere materie plastiche che saranno fornite ai tre partner; questi, a loro volta, utilizzeranno le resine per produrre imballaggi destinati ad uso alimentare e non: Vinventions produrrà tappi sintetici per vino e Walki beni di consumo. Nei piani di Sabic e Plastic Energy c’è la costruzione di un impianto in Olanda, che potrebbe entrare in marcia nel 2021.

Il processo TAC parte dal riscaldamento dei rifiuti plastici in assenza di ossigeno (evitando così la loro combustione), che provoca una rottura delle catene polimeriche. Si ottiene così un vapore saturo di idrocarburi che, una volta condensato, può alimentare un cracker al posto di materie prime fossili per la sintesi di intermedi per la produzione di nuove materie plastiche, mentre la frazione gassosa viene impiegata per produrre l’energia necessaria agli impianti. Il processo è già stato testato con successo da Plastic Energy in due impianti in Spagna, prima a Siviglia (2014), quindi ad Almeria (2017) dove stanno operando in ciclo continuo.
Sabic ha introdotto in catalogo anche i primi gradi di compound e leghe a base di PBT (LNP Elcrin iQ) ottenuto da depolimerizzazione di bottiglie e altri rifiuti a base poliestere. Questa nuova serie comprende gradi rinforzati con fibre di vetro e cariche minerali, formulazioni ritardanti di fiamma senza alogeni e resistenti ai raggi UV, oltre a gradi suscettibili di ottenere la conformità al contatto alimentare in base agli standard FDA.

In campo anche Dow ed Eastman

Il gruppo chimico statunitense Dow si prepara a introdurre sul mercato plastiche ottenute in parte da materie prime provenienti da pirolisi di rifiuti plastici e, a questo scopo, ha siglato un accordo con l’olandese Fuenix Ecogy per la fornitura di feedostck destinati al polo di Terneuzen, nei Paesi Bassi.
Fuenix ha brevettato un processo di pirolisi capace di convertire materie plastiche eterogenee da imballaggi in un olio che può sostituire alcune materie prime (nafta, paraffine, LPG). L’azienda olandese sostiene che con una tonnellata di rifiuti si possono ottenere circa 700 chilogrammi di polimero rigenerato con le stesse caratteristiche di quello sintetizzato con materie prime vergini, anche per uso alimentare. Questo progetto rientra nell’impegno preso da Dow di incorporare almeno 100.000 tonnellate di plastiche riciclate nei materiali destinati al mercato europeo entro il 2025.

Eastman si sta invece muovendo nel riciclo chimico, mediante depolimerizzazione via metanolisi, dei rifiuti a base poliestere di scarsa qualità, difficilmente recuperabili per via meccanica e destinati quindi a essere avviati a discarica o all’incenerimento. Il gruppo statunitense è impegnato in uno studio di fattibilità tecnica sulla progettazione e costruzione di un impianto di metanolisi su scala industriale, che potrebbe entrare in funzione entro 24-36 mesi dalla conclusione degli accordi con partner della filiera interessati ad acquistare il materiale così rigenerato.

Capitali freschi per Loop Industries

Che il momento sia quello giusto, è dimostrato anche dalla disponibilità di capitale di rischio per progetti industriali nel riciclo chimico. Recentemente, la società di investimenti canadese Northern Private Capital (NPC) del multimilionario John Risley, ha deciso di investire 35 milioni di dollari per rilevare una quota del 10,5% di Loop Industries, la società che ha sviluppato un processo per il riciclo chimico di rifiuti in PET, trasformati nelle materie prime di partenza. Il nuovo azionista si è anche assicurato un’opzione, valida tre anni, per l’acquisto di ulteriori quote, fino ad arrivare al 17,3% con un esborso totale di 45 milioni di dollari. L’obiettivo è accelerare il passaggio su scala industriale del processo, che vede Loop Industries alleata con la thailandese Indorama Ventures nella costruzione del primo impianto di depolimerizzazione negli Stati Uniti, il cui avvio è previsto nel 2020.
Ancora prima di mettere in marcia le capacità, Loop Industries ha siglato accordi di fornitura pluriennale di rPET da riciclo chimico con colossi quali PepsiCo, L’Oréal Group ed Evian, il marchio di acque minerali del gruppo Danone. Alla fine dell’anno scorso, la società canadese ha anche raggiunto un accordo con Thyssenkrupp al fine di combinare la tecnologia di riciclo chimico di poliestere Loop con quella di policondensazione in continuo MTR (Melt-To-Resin) di Uhde Inventa-Fischer per produrre PET grado bottiglia partendo da rifiuti plastici post-consumo.

Un progetto nei film BOPET

Sul fronte della depolimerizzazione del PET, si segnala anche il processo LuxCR proposto da DuPont Teijin Films. L’obiettivo è trasformare i flakes di PET provenienti da sfridi o da rifiuti nel monomero di partenza – BHET (bis-β-idrossietiltereftalato) –, indistinguibile da quello vergine, da cui ottenere nuovo poliestere destinato all’estrusione di film PET biorientato (BOPET) destinato ad applicazioni di imballaggio, anche alimentare. Questa tecnologia è in grado rimuovere eventuali contaminazioni attraverso una combinazione tra filtrazione del polimero e del monomero ed estrazione mediante vuoto per alcune ore con temperature tra 270 e 300 °C. Il gruppo statunitense sta valutando altre applicazioni nell’ambito di etichette, pannelli solari, carte d’identità.

Robot a quattro zampe per scansioni laser

robots

All’interno del Van Dyke Transmission Plant, Ford sperimenta l’utilizzo di due robot a quattro zampe Fluffy e Spot, sviluppati da Boston Dynamics, per scansionare al laser gli spazi dello stabilimento, aiutando gli ingegneri ad aggiornarne il design originale e riorganizzare il layout dell’impianto

Ford, dall’inizio di agosto, all’interno del Van Dyke Transmission Plant, sperimenterà, Fluffy e Spot, due robot simili a cuccioli di cani che possono sedersi, stringere la mano e persino rotolare, ma, soprattutto, eseguire scansioni a 360°, inclinarsi a 30° e salire scale per ore, senza stancarsi.

Hanno queste caratteristiche e capacità perché sono robot a quattro zampe con la mobilità simile a quella di un cane, dal peso di circa 30 kg (70 pound) e fanno parte di una sperimentazione Ford progettata per risparmiare tempo, ridurre i costi e aumentare l’efficienza nelle aree di produzione dell’Ovale Blu.

Fluffy, il nome dato dall’handler del robot Paula Wiebelhaus, è uno dei due modelli che è stato noleggiato da Boston Dynamics, un’azienda di robotica altamente specializzata, mentre l’altro androide si chiama Spot.

Entrambi di colore giallo brillante, sono dotati di cinque telecamere, possono viaggiare fino a 4.8 km/h (3 mph) e hanno una batteria della durata di quasi due ore.

Saranno utilizzati per scansionare gli spazi dell’impianto e assistere gli ingegneri Ford nell’aggiornamento del Computer Aided Design di riferimento.

Come afferma Mark Goderis, Digital Engineering Manager di Ford: “Facendo in modo che i robot eseguano la scansione della nostra struttura, possiamo vedere come appare attualmente e costruire un nuovo modello ingegneristico. Tale modello digitale viene, quindi, utilizzato quando è necessario riorganizzare l’impianto per l’introduzione di nuovi prodotti. La scansione poteva richiedere due settimane. Con l’aiuto di Fluffy, siamo in grado di farlo in metà del tempo”.

Il vecchio metodo utilizzato per la scansione, inoltre, aveva costi elevati di quasi 300.000 dollari. Il funzionamento di questo progetto pilota contribuirà a ridurre ed ottimizzare le risorse, portando il prima possibile i nuovi veicoli sul mercato.

Ora, i robot possono essere azionati fino a 50 metri di distanza, utilizzando un’app dedicata per tablet, ma nel futuro l’intenzione è quella di farli funzionare da remoto, programmandoli per le attività negli impianti e ricevendo immediatamente report da qualsiasi area del paese.

La chiave del successo di Fluffy e Spot è la loro agilità. Questi robot, attraverso un dispositivo simile a un giocattolo, sono in grado di vedere da remoto ciò che viene inquadrato dalla telecamera, e, in caso di problemi, azionare  il dispositivo tasto di arresto sicuro, per impedire un’eventuale collisione.

I robot hanno tre andature operative: modalità camminata, una per i piani inclinati e una a velocità speciale per affrontare le scale. Possono, altresì, cambiare posizione e rannicchiarsi facilmente. Sono in grado di gestire scenari difficili, dalle grate ai gradini, fino a pendenze di 30°, se cadono, possono rialzarsi da soli e mantengono una distanza sicura e stabilita dagli oggetti per evitare collisioni.

A volte, Fluffy si siede sulle sue cosce e si appoggia sul retro di un piccolo robot a guida autonoma, noto informalmente come Scouter che si muove uniformemente per i corridoi dello stabilimento, consentendo all’automa maggiore di conservare la carica della batteria fino al momento di mettersi al lavoro. Scouter può spostarsi autonomamente nelle strutture, durante la scansione e l’acquisizione di riferimenti in 3D, per generare una versione CAD della struttura. Se un’area è troppo stretta, Fluffy giunge in suo soccorso.

Realtà Aumentata e Virtuale

“Il blocco degli spostamenti e la soppressione degli eventi causata dal Covid-19 hanno spinto le aziende a cercare soluzioni alternative per avere un contatto diretto con i clienti e replicare la realtà”: la riflessione di Roberto Del Ponte, senior manager di InfinityReply pubblicata su “Genio & Impresa” di Assolombarda apre le porte a un futuro sempre più digitale e innovativo delle aziende italiane

Lo sviluppo di tecnologie di realtà aumentata e virtuale può rappresentare una svolta singolare per molte applicazioni utili alle aziende.

Secondo uno studio di Klecha& Co, banca di investimento specializzata in tecnologia, a livello mondiale nel 2023 la spesa delle aziende per sistemi di realtà aumentata (Ar) e realtà virtuale (Vr) raggiungerà i 121 miliardi di dollari. In realtà, questi strumenti digitali non sono così futuristici come si potrebbe pensare, poiché “cataloghi, virtualmakeup, app per provare vestiti o accessori e filtri fotograficisono entrate dal telefono quasi in sordina, ma sono state accettate perché su uno strumento con cui si ha confidenza”, spiega Del Ponte.

Tuttavia, ci sono diverse barriere di accesso legate principalmente al software e all’hardware delle applicazioni aziendali, dai costi di sviluppo fino alla diffusione degli strumenti per poterne beneficiare.

Come suggerito da Del Ponte: “L’ideale sarebbe creare piattaforme che consentano alle aziende di predisporre in autonomia dei contenuti, consentendo così di semplificare il processo e di permettere ai nuovi sistemi di dialogare con programmi già esistenti nelle aziende”.

L’adozione di sistemi di computer vision e machine learning offrono la possibilità di riconoscere situazioni, processi, luoghi e di restituire informazioni all’utente che indossa il visore. Conclude Del Ponte: “Per quanto riguarda l’assistenza da remoto, stiamo pensando a dei visori olografici ancora più agili e comodi che consentiranno all’operatore che li indossa di tenere le mani libere. In questo modo i visori di Ar potranno essere adottati anche durante la formazione professionale, dove poter fare operazioni guidate sul campo diventerà più immediato e utile”.

Remtech Expo edizione 2020 in digitale

remtech digitale

Dal 21 al 25 Settembre, in occasione della Remtech Week, si terrà l’appuntamento con Remtech Expo, quest’anno in versione digitale

Si tratta della prima piattaforma digitale internazionale, dedicata ai temi della tutela dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile dei territori.

Uno strumento assolutamente nuovo che rimarrà vivo, visibile e fruibile nel tempo – life cycle platform – garantendo, partecipazione potenziata, innovazione, internazionalizzazione, comunicazione, continuità di azione.

La piattaforma si compone di una Hall di ingresso per la registrazione, un’ampia Exhibition room ricca di informazioni, servizi e tecnologie, dieci Conference rooms parallele, l’International Club per l’organizzazione degli incontri bilaterali internazionali con i delegati stranieri, il lounge caffè Alfredo’s per poter godere di alcuni momenti di relax e di networking con la community specializzata di Remtech Expo Digital.

Tutti gli eventi delle Conference rooms saranno registrati e rimarranno visibili sulla piattaforma come naturalmente per le Exhibition company rooms.

Per gli Espositori, sarà potenziata l’attività di internazionalizzazione, sarà possibile partecipare alle conferenze e giocare un ruolo da attori protagonisti, essere contattati direttamente e proporre delle vere e proprie company experience, così come realizzare un incontro tecnico di approfondimento e naturalmente accedere al Lounge caffè Alfredos’.

Sono previsti inoltre, qualora possibile, eventi in presenza presso le sedi delle Istituzioni con le quali vi è la piena convergenza per quanto riguarda la definizione delle strategie e degli obiettivi.

La Digital Demo è disponibile online per poter visualizzare al meglio le caratteristiche e le potenzialità del progetto, unitamente alle speciali modalità di partecipazione, al programma delle conferenze ufficiali a cui è, come sempre, associata la Call for Abstract.

Per tutte le informazioni e richieste di chiarimento, la segreteria è a completa disposizione a: marketing@remtechexpo.com secretariat@remtechexpo.com

Approcci industriali bio-inspired

bio inspired

Nell’industria si stanno facendo strada i processi di produzione che emulano i meccanismi dei sistemi biologici. L’evoluzione sarà la manifattura additiva

Componenti meccaniche che imitano le qualità strutturali delle ossa, per leggerezza, conformazione, resistenza ed elasticità. Vernici che riproducono la superficie della foglia di loto, che ha la singolare capacità di mantenersi pulita autonomamente. Robot che passeggiano su muri verticali, perché prendono spunto dal geco, che ha l’abilità di aderire con le zampe alla superficie senza emettere secrezioni adesive.

Ecco la visione del futuro, quando prenderanno piede i processi di produzione bio-inspired, che emulano i meccanismi di azione e le strategie dei sistemi biologici.

Ma perché la manifattura dovrebbe sentire il bisogno di innovazioni come quelle citate? Con l’indebolimento della produzione di massa il valore si sposta verso contenuti tecnologici innovativi, e verso qualità straordinarie già presenti in natura, per ora mai replicate su scala industriale. L’attore principale è la manifattura additiva: strutture di enorme complessità e di dimensioni nano-metriche non possono essere replicate dalla comune ingegneria.

DigitBrain, il cervello digitale per i processi di produzione

digital brain

Sviluppare un “cervello digitale”, tecnologico e modulabile a seconda del contesto, per consentire alle PMI manifatturiere di accedere a impianti di produzione avanzati per raccogliere e scambiare dati in massima sicurezza e velocità, al fine di acquisire e valutare i dati del ciclo di vita di un prodotto.

È questo lo scopo del progetto DigitBrain, che coinvolge 14 Stati dell’Unione Europea e si è aggiudicato fondi di Horizon 2020 per un valore di 9,5 milioni di euro. A guidarlo, per il Sud Europa, sarà Start 4.0, il Competence Center genovese.

Start 4.0 è stato selezionato, assieme a organismi di spicco come il centro di ricerca tedesco Fraunhofer, come partner di un consorzio internazionale di 36 soggetti, capace di mettere insieme imprese e partenariati provenienti dall’Italia, Germania, Spagna, Ungheria, Repubblica Ceca, Olanda, Danimarca, Russia, Finlandia, Romania, Estonia, Austria e UK. Il centro di competenza genovese avrà il compito di supervisionare due progetti pilota, uno dedicato alla filiera del fashion di lusso, e l’altro dedicato al taglio laser e alla formatura di prodotti in alluminio. Progetti che permetteranno di creare una “copia digitale” dei processi di produzione e di ottimizzare le attività.

Un cervello digitale per le Pmi

I fondi a disposizione del progetto verranno utilizzati per condurre le attività di innovazione volte allo scale-up ed all’integrazione di una serie di piattaforme sviluppate durante progetti di innovazione precedenti, implementando il concetto di Digital Twin con un approccio innovativo, chiamato “Digital Product Brain” (DPB) e un modello di business intelligente chiamato “Manufacturing as-a-Service”(MaaS).Questa impostazione permetterà di trattare la capacità manifatturiera come una “commodity plug-and-play”, come un software, grazie a uno strumento integrato che sfrutta sensori, dispositivi Internet of Things Industriali (IIoT), sistemi di produzione cyber-fisici (CPPS), dati, modelli e algoritmi.

Lo sviluppo di un DigitBrain, ispirato dai principi di innovazione tecnologica e sostenibilità della produzione a tutto tondo, è dedicato nel progetto al settore manifatturiero, ma per caratteristiche è applicabile in molti altri domini, a partire dalle infrastrutture complesse come un porto, un aeroporto, un viadotto autostradale.

La nanofibra leggera che protegge da temperature estreme

nanofibra

I ricercatori dell’Università di Harvard hanno sviluppato un materiale in nanofibra leggero e multifunzionale in grado di proteggere da temperature estreme e dagli attacchi balistici, ideale per soldati, astronauti e vigili del fuoco.

Un materiale di nanofibra leggero e multifunzionale in grado di proteggere chi lo indossa da temperature estreme e attacchi balistici. Non solo soldati, ma anche astronauti e vigili del fuoco. Lo hanno progettato i ricercatori dell’Università di Harvard, in collaborazione con il Army Soldat Capabilities Development Command Soldier Center (CCDC SC) e l’accademia di West Point.

I materiali con una forte protezione meccanica, come metalli e ceramiche, hanno una struttura molecolare altamente ordinata e allineata. Questa struttura consente loro di resistere e distribuire l’energia di un colpo diretto. I materiali isolanti, d’altra parte, hanno una struttura molto meno ordinata, che impedisce la trasmissione di calore attraverso il materiale. Unire questi due aspetti in un unico materiale non è facile.

Il Kevlar e il Twaron sono prodotti commerciali ampiamente utilizzati nei dispositivi di protezione e possono fornire protezione balistica o termica, a seconda del modo in cui sono fabbricati. Il tessuto Kevlar, ad esempio, ha una struttura cristallina molto allineata e viene utilizzato in giubbotti protettivi antiproiettile, mentre gli aerogel di Kevlar poroso offrono un elevato isolamento termico.

“La nostra idea era quella di utilizzare questo polimero di Kevlar per combinare la struttura tessuta e ordinata delle fibre con la porosità degli aerogel creando fibre lunghe e continue con una spaziatura porosa nel mezzo – spiega Grant M. Gonzalez, primo autore della ricerca – In questo sistema, le fibre lunghe possono resistere a un impatto meccanico, mentre i pori limitano la diffusione del calore.”

Controllo di Gestione: il nuovo rapporto tra consulenti e aziende

rapporto tra consulenti e aziende

Analizzare, valutare e programmare il futuro delle imprese riducendo al minimo il rischio di crisi, meglio se con l’aiuto del software giusto

La nuova sfida per commercialisti e consulenti? Analizzare, valutare e programmare il futuro delle imprese riducendo al minimo il rischio di crisi, magari con l’ausilio del giusto software per il controllo di gestione.

Continuità e sicurezza sono obiettivi fondamentali da raggiungere, soprattutto dopo gli ultimi mesi che hanno messo interi settori a fronteggiare un’emergenza sanitaria senza precedenti che ha ridimensionato ambizioni e bilanci.

Organizzazione e attenta capacità di analisi diventano caratteristiche imprescindibili per garantire un futuro alle piccole-medie imprese, certamente le più colpite dalle vicissitudini recenti.

In questo contesto, è necessario attingere alle proprie competenze e dotarsi di strumenti di qualità per adeguarsi a novità normative come l’ingresso del nuovo Codice d’impresa e dell’insolvenza e l’obbligo del Controllo di Gestione.

Una nuova organizzazione

Con le nuove normative aumenterà il numero di aziende che avranno bisogno del sostegno di consulenti per svolgere attività di controllo di gestione. Questo tipo di esigenze porterà ad un incremento dei servizi che possono essere offerti dai professionisti.

In questi mesi, commercialisti e consulenti si stanno quindi attrezzando per farsi trovare pronti alle nuove sfide portate dai provvedimenti adoperati dal legislatore.

Si andrà verso una collaborazione sempre più stretta (e praticamente imprescindibile) tra il professionista e l’imprenditore e la sua azienda:

  • l’imprenditore dovrà cogliere e saper valorizzare l’importanza del ruolo strategico che gioca il professionista nella prevenzione della crisi d’impresa;
  • il commercialista dovrà ricoprire il ruolo di consulente aziendale ed esercitare un ruolo di controllo.

 

Il lavoro fianco a fianco aziende-professionista

Il commercialista, anche con l’aiuto di appositi software gestionali, avrà il compito di supportare le imprese nell’istituzione di un assetto organizzativo idoneo alla rilevazione dei sintomi di crisi e al monitoraggio dei rischi di impresa.

Il consulente d’azienda affiancherà così l’imprenditore e l’organo di amministrazione nella rilevazione tempestiva dei segnali di crisi.

Il commercialista – consulente potrà cominciare a svolgere svariate attività volte a diagnosticare rischi di insolvenza (e semmai attivare eventuali procedure di allerta):

  • insediare un sistema di monitoraggio;
  • procedere all’analisi di rischi finanziari legati ad insolvenza;
  • pianificare lo stanziamento di un budget per soddisfare il fabbisogno finanziario e l’esposizione debitoria;
  • verificare la reputazione creditizia dell’impresa, attraverso un’opportuna analisi di bilancio, anche pluriennale, fatta in tempo reale;
  • analizzare i centri di profitto e di costo sulla base delle aree in cui è suddivisa l’azienda e le loro redditività;
  • valutare la gestione caratteristica e non caratteristica, o per costi variabili e fissi a margine di contribuzione;
  • progettare (eventuali) piani di risanamento e ristrutturazione.

Per l’azienda si andranno a creare nel corso del tempo situazioni favorevoli anche in ottica di concorrenza con i propri competitor: organizzarsi ed affidarsi a consulenti validi porterà benefici al momento di pianificare strategie e progetti.

Professionista come consulente aziendale: quali responsabilità?

Per un’azienda essere affiancata e monitorata da un professionista rappresenta un’occasione di crescita: in pratica ci si avvale della competenza di un soggetto che, nonostante il coinvolgimento nei processi di supervisione, resta comunque esterno e in grado di avere una visione complessiva più obiettiva.

Il processo di discussione, confronto e condivisione delle esigenze e della visione dell’imprenditore diventerà la base per capire la strategia da seguire. Sarà poi il professionista ad affiancare l’impresa nel raggiungimento dei traguardi fissati. Il consulente procederà ad illustrare costi, tempi, miglioramenti ipotizzati da una determinata strategia e agirà in modo tale che le scelte consigliate portino a risultati tangibili e quantificabili.